La storia della musica afroamericana non può prescindere dalla condizione dei suoi interpreti. Negli anni '40 l'emarginazione razziale ed il genio di personaggi quali Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonius Monk hanno contribuito ad un fenomeno che ha determinato un carattere importante del linguaggio jazzistico: gli Standards. Questi erano brani che attingevano dal repertorio tradizionale americano o dai musicals di Broadway e che venivano rivisitati, stravolti, presi come pretesto per torrenziali improvvisazioni ed ardite evoluzioni armoniche. Era la rivincita della creatività sulla mediocrità della borghesia bianca e razzista, un linguaggio fatto di allusioni, uno slang conosciuto solo agli adepti di questa nuova musica rivoluzionaria. Oggi, a più di mezzo secolo di distanza, le cose sembrano non essere cambiate più di tanto. Certo, molti diritti sono stati ottenuti, ma le classifiche di vendita continuano ad essere piene di musica di pessima qualità ed i riconoscimenti raramente vanno agli artisti che meriterebbero, un po' come quando la critica osannava il bianco Chet Baker (che era comunque un ottimo musicista) ignorando Miles Davis. . .
Non so se fosse nelle intenzioni di questi tre musicisti prendersi una rivincita verso la musica da top ten. Non credo, comunque, dato che i brani scelti sono delle ottime composizioni di musica pop o rock (e, sinceramente, poco importa). Fatto sta che il pianista Danilo Rea, il contrabbassista Enzo Pietropaoli ed il batterista Fabrizio Sferra con il loro progetto Doctor 3 stanno realizzando dei nuovi Standards. Se, forse, non ha più senso discutere del valore sociologico di questa scelta, ha senso di certo discuterne il valore artistico. È un vero spettacolo ascoltare l'interplay tra questi tre musicisti, sembra davvero che vi sia una sorta di telepatia, quando Rea interpreta meravigliosamente "Stelle di Stelle" di Baglioni, per poi lanciarsi nel turbinìo di "Tale Nine", composizione originale intricata e cerebrale che si trasforma progressivamente nell' "L'uomo in Frack" di Domenico Modugno. Eh, già, perché i temi molte volte si susseguono nella stessa traccia, a volte sono solo accennati ed entrano a far parte delle improvvisazioni, oppure costituiscono l'ossatura armonica che fa da base agli assolo. Ciò che colpisce è la fantasia con cui Danilo affronta le parti solistiche, assolutamente libero da cliché, sempre estremamente lirico e comunicativo; ma anche l'approccio al ritmo estremamente creativo di Fabrizio Sferra, che sfrutta appieno le colorazioni timbriche del suo strumento; oppure il contrabbasso di Enzo Pietropaoli, sempre puntuale nel seguire la strada indicata da Rea e a proporre egli stesso delle deviazioni. Ascoltate come viene riproposto uno dei brani più famosi del rock, "Stairway to Heaven", e come esso si trasformi dopo 3 minuti e 20 in "Cam Camini" (si, è proprio lui: cam camini, cam camini spazzacamin!).
Questo è, secondo me, lo spirito attualizzato del proporre standards: la bellezza del jazz sta nell'infinità di soluzioni, nella libertà dell'improvvisazione, nel divertimento che nasce tra i musicisti quando si suona sapendosi ascoltare, divertimento che è palese in un disco come questo e che viene percepito al massimo nelle performance dal vivo. E, seppur involontariamente, vi è anche oggi un'implicita rivincita di chi suona perché è l'unica cosa che potrebbe fare nella vita, perché è la cosa che più gli da piacere e che lo realizza personalmente, concetti quantomeno inadatti allo show-buisness. . . Grazie Doctor 3 e grazie a tutti i veri musicisti che fanno della vera musica!
Carico i commenti... con calma