Colmiamo una lacuna che grida vendetta con la recensione di questo splendido lavoro della sottovalutata Dolcenera, a mio immodesto modo di vedere la Loredana Bertè del terzo millennio, e non solo perchè è rauca e incazzata.
Oltre alla hit che tutti facciamo finta di non conoscere, "Com'è straordinaria la vita", questa mia vuole accendere un riflettore priviliegiato sul testo di una delle canzoni che compongono l'album, che io col cazzo ho comprato, ma scaricato dal mulo: il titolo è  "L'Amore (Il Mostro)", e tutti ora si staranno chiedendo: chi cazzo è sto mostro? Lei? Risposta sbagliata, come dimostreremo analizzando le parole della pregevole lirica:

Prima strofa

Guardami negli occhi, mostro
Attaccato alle spalle
Evita gli specchi
Tanto ti guardano le stelle, stelle
Sei arrivato fin qua
Con la faccia che fai
A pagare la vita che non hai
Non ti chiedo pietà
Sono un bimbo, chissà
Sono nato così, dal dolore
Dolore

Si presuppone che il nostro mostro sia arrivato fin qua in cerca di qualcosa di preciso, per la quale debba pagare un prezzo, ma la sua faccia sta dicendo: cazzo, fammi uno sconto, non chiedo pietà, in fondo sono un bimbo nato a cazzo di cane, e adesso non posso guardare le donne in faccia e le prendo alle spalle, togliendo accuratamente gli specchi dalle stanze. Per non vedere cosa? La propria faccia direte. No, la faccia è quella della tizia che nel momento dell'amore sta pensando che deve ancora fare la lavatrice. E lui questo lo sa, tutte le sciacque con cui è stato pensano al bucato quando stanno sotto di lui.
Ma lei lo irretisce e ingabbia, simula un certo interesse alla cosa e al contempo giustifica la mancata concessione dello sconto mettendo le mani avanti e dicendogli a bruciapelo: guardami negli occhi. Ha toccato il suo punto debole, ogni zoccola sa il punto debole del cliente.

Seconda strofa

Mi fai male
Animale, questo è per te
Dolore
Che ti fa sentire grande e forte come un dio
L'amore
Allore guardami negli occhi
Mostro attaccato alle spalle
E dimmi cosa vedi
Ma tanto tu non credi a niente

L'atto è evidentemente cominciato, ma qui la dissiulazione troiesca raggiunge vette di astrazione tali da farne dubitare: il dolore, in quelle tre parole infantili, mi fai male, così dirette a dare una patetica soddisfazione al nostro mostro. Animale, questo pertugio è per te, solo per te, capito perchè lo sconto non te lo faccio, questo gli altri non lo hanno mai visto. Il dolore della nostra fa sentire il nostro un dio, solo lui e lunardi scavano gallerie in quel modo, fino a toccare il senso dell'amore, sai quando il sesso è così pulito e bello da confondersi con l'amore: e riecco l'affabulazione, dai guardami negli occhi, mostro che mi sei attaccato dietro, e dimmi cosa vedi: ma tanto lui non ci crede, e continua a guardare altri punti, il lavoro di trivellamento non ammette distrazioni.


Terza strofa (o forse è il ritornello)

Sono ancora vivo
Un corpo senza una croce
Acqua sulle labbra
Per non lasciarmi morire
Morire
Io non chiedo pietà
Sono un bimbo, chissà
Finirà prima o poi questa vita

Parla il mostro in prima persona: l'amplesso è finito, l'escavazione è stata lunga ed estenuante, lui che dubita di essere vivo, ma ritorna subito alla realtà: la mancanza del segno della croce sul corpo di lei gli fa capire che il suo cacciavite ha spanato (una grande metafora questa), e ora è tutto un colare di umore. lui che ha paura, un attimo di terrore, forse ho esagerato, ma cazzo sono un bimbo, e i bimbi non chiedono pietà e prima o poi sta vita finirà, ed è meglio godersele certe cose, specie se hai pagato fior di euro.
 
Terza o quarta strofa

L'amore
Io sto male
Animale, questo è per te
L'amore
Che con me puoi tutto
Vita o morte come un dio
L'amore
Allora guardami negli occhi
Mostro attaccato alle spalle
E dimmi cosa vedi
Se assomiglio a tuo figlio

Si ripete il tutto, tra finto amore e finto dolore, ma dalla parte di lei scoppia un rigurgito repentino che le fa gridare la frase più terribile della canzone: assomiglio a tuo figlio? Dimmi cosa vedi, il mio culo è uguale a quello di un uomo per caso? E la risposta di lui, seppure non detta, è eloquente se lei risponde con tutta la rabbia che le è rimasta in corpo:

Se il mio cuore
Potesse pensare si fermerebbe
Se il mio cuore
Sapesse che fare ti ucciderebbe


Chiusura lirica:

E allora guardami negli occhi
Mostro attaccato alle spalle
Ed evita gli specchi
Tanto ti guardano le stelle
Le stelle.

Chiusura velocissima, da misconosciuti, in due tempi tagliati con il bisturi: misericordiosa rappacificazione da parte di lei (non ti specchiare, non precipitare nello sconforto) e pagamento da parte di lui (ma dammi le stelle, che in senso più o meno figurato sono le stelle che compaiono sulle banconote europee, ribadite peraltro due volte, a sottolineare che il mostro non aveva corrisposto la tariffa pattuita).

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