Un lungo, stretto corridoio studiato apposta per coloro che soffrono particolarmente la claustrofobia. L'impressione che si ha è quella del vuoto sotto i piedi, eppure di un soffitto che ci costringe a stare piegati. Visioni assurde e buio.
Direi 3 grandissimi compositori di musica, non esageratamente bravi nel tecnicismo, quanto nell'innovazione musicale che portano con i loro lavori. Sembra assurdo che degli strumenti scordati possano generare emozioni così chiaramente identificabili. Gelo, depressione, dolore...
Tanto dolore, che si ripercuote nelle liriche estremamente pessimistiche, non difficili da decifrare e ispirate spessissimo dal suicidio. I Dolorian sono un gruppo finlandese (Anti Ittna Haapapuro, Ari Kukkohovi, Jussi Ontero), il numero di componenti è esiguo ma essenziale. Il primo si occupa della parte vocale e chitarristica. La voce è molto spesso sussurrata, bassa, sottomessa, quasi direi rassegnata. Già, perchè se nel primo lavoro le ispirazioni erano molto molto vicine al black metal, ora la tendenza è molto più alla musica dark/doom, come un grido di dolore si trasforma nell'apatia dello stato di abbandono delle forze...
Le chitarre sono scordate, non poco direi, e insistono in arpeggi comunicando insieme alle tastiere sensazioni di disorientamento. Non mancano riff direi quasi di sfogo, ma sono momentanei e spesso accompagnati da qualche raro growl. Ari Kukkohovi pare si occupi da solo della sezione ritmica, basso e batteria. Un pulsare continuo e incessante che non lascia respiro, come una fretta di uscire da una stanza buia che fa sbattere ad ogni spigolo invisibile. L'ultimo si occupa di un'altra caratteristica musicale indispensabile, tastiere. Mai assoli, tanta quiete, una sensazione molto ariosa e di vuoto intorno. Molto spesso ambient, direi.
Eppure nel contrasto tra tastiere atmosferiche, batteria scalpitante e arpeggi ripetuti e evoluti continuamente in passaggi inesistenti si crea una sensazione unica che non voglio ripetere troppo, anche se credo di aver già esagerato con le emozioni. L'intro "Grey Rain" è un lamento arpeggiato continuo che serve ad introdurci "Blue Unknown", una evoluzione sonora che parte dal sussurro del cantante/chitarrista e peggiora continuamente in un dolore sempre maggiore che porterà ai riff disperati con echi di growl, ma mai insopportabili.
"Hidden/Rising" è un alternarsi di solitudine assoluta a momenti di ripresa ritmica che pare congiungere 2 canzoni che probabilmente da sole sarebbero state insignificanti. "Cold/Colourless" sembra un caledoscopio monocromatico che muove una realtà fredda, senza colore molto lentamente facendo scivolare attraverso le tastiere in uno stato catatonico, quasi psichedelico. Lentamente, con la traccia "Nails" strumentale e strascicata, le visioni terminano con il sonno.
Ma ecco che il solito Ari Kukkohovi ci preannuncia "Numb Lava", che scioglie lo stato di torpore con i suoi riff caldi, quasi rossi direi. Sì, i colori cambiano e il blu-nero si trasforma in un rosso-giallo che riscalda l'ascoltatore. La sensazione è appunto quella di aver scalato un vulcano: dopo la fatica, il freddo del ghiaccio sopra di esso, si precipita nel cratere inaspettatamente bollente, rosso di lava, appunto. Finita la gita al centro della terra, un altro intermezzo strumentale, "Ambiquous Ambivalence" spegne momentaneamente l'incendio per proiettarci in uno stato nuovamente di rassegnazione nera. Un motivo ricorrente, dato che non si tratta di certo di musica adatta a un pubblico di massa fatto di facce sorridenti e visi mascherati di menzogna.
Il dolore non cessa, dunque, ma vuole spegnersi lentamente attraverso i 9 minuti e più di "Seclusion", non senza momenti di disperazione musicale. Il tutto si conclude infine con "Faces", una sorta di nevicata lieve su tutto ciò che resta immobile alla fine di una sconfitta.
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