Passano 5 anni, se non si considera lo split cogli Shining, e sembra ancora una volta tutto fermo. Non esistono sperimentazioni o cambiamenti di rotta, novità eclatanti. La formula è la stessa, solita... Perdente. Quasi a voler creare uno stile unico e inconfondibile. In realtà la musica dei Dolorian non è affatto per le masse, non vuole essere punto di riferimento nè strabiliare con maestrie e bravure. E' fine a sè stessa. Fuori da ogni schema prestabilito, fare paragoni è inutile, anche se necessario. Evidenti le influenze dei Lycia, oltre che di band black-doom, ma non ci siamo ancora con le definizioni. Il dolore della solitudine, dell'essere diverso, di essere unico e inadattabile rende ancora una volta capaci questi 3 distruttori di luce di avvolgere con oscurità tutto ciò che ha fame di vita.
Ripetitiva può essere la mia recensione come ripetitivo è il terzo disco. Apre una intro che fa finta di decollare per tutti i suoi 5 minuti: "Dual – Void - Trident". Siamo all'esaltazione del silenzio, che lentamente scompare e sfuma attraverso suoni cupi che si sfiorano nel buio. "In The Locus of Bone" prosegue unita alla prima traccia come un fiume che sfocia in un lago... La corposità sonora si amplia e la tensione cresce. C'è spazio per abissi di odio e sofferenza che mutano sussurri in growl profondi e arpeggi in riff doom che schiacciano dall'interno, senza mai apparire così evidenti. "Co-il-lusion" ci rallenta in un momento di lievissimi suoni che come sempre devono prepararci alla tesissima "Ivory Artery". Aumenta la velocità, la compressione, la pienezza e la ricchezza degli strumenti che spingono sempre più verso la fibrillazione del ritornello, nel quale si libera lo screaming più disperato di cui è capace Haapapuro, come un eco nel vuoto descritto nel testo della traccia. "The Flow Of Seething Visions" è la sorpresa, vera unica novità rispetto ai precedenti album. Si basa tutto su chitarra acustica e minimalismi ambient del tastierista. Niente di più semplice, puro e libero. Da ascoltare con silenzio intorno e ad occhi chiusi. Arpeggi, echi, arabeschi e pizzicate quasi spagnoleggianti... Eppure non ci proietta affatto fuori dall'atmosfera oscura nella quale siamo precipitati e attraverso la quale 10000 occhi ci guardano senza essere visti...
E come dopo un letargo rigenerante, sonnolentemente e col torpore di chi non si muove da anni, "The One Whose Name Has No End" rompe i sogni e torna a riappesantirci con la realtà... E attraverso una fatica enorme il tutto si trascina più lentamente possibile (10 minuti e mezzo!) traformandosi lentamente ancora da sussurri a growl e da arpeggi a riff al limite del soffocamento. Altro NON breve intermezzo di sole tastiere, "The Absolute Halo Is Awakening", e sta volta c'è il pezzo più incalzante che richiama Numb Lava e My Weary Eyes. I riff sono granitici e più affini al doom, ma la desolazione dell'atmosfera è sottolineata dai giri di tastiera spietati che prosciugano ogni minima speranza rimasta. Il crescendo finale fa davvero tanto male e il terzo intermezzo, "The Fire Which Burns Not", serve a ridare fiato, per far sopravvivere e prepararci alla lacerazione finale:
"Raja Naga - Rising". Ancora 10 minuti di lenta ridondanza di note tristissime e al limite dell'ascoltabile. Il cuore straziato continua a morire, nonostante ci abbia provato già diverse volte. Spazio per le ultime grida, ma la speranza ci denigra ancora con riprese lente che servono solo a prolungare il supplizio del continuare a vivere soffrendo.
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