"Udiamo l'odore dell'erba, beviamo nuvole, le nostre anime sono fiori, un fiume la nostra memoria..."



Nemmeno i Kraftwerk erano riusciti a rimanere indifferenti al fascino dei suoni secchi e squadrati della lingua russa: "Ja tvòj slugà ja tvòj rabòtnik": "io sono il tuo servitore, sono il tuo lavorante" è la frase in russo che il quartetto di Düsseldorf eleva a dignità di slogan, sia sonoro, in "The Robots", che visivo, riprodotto sul retro della copertina di "The Man-Machine". C'è da credere che non si sia trattato di una scelta casuale. Esiste infatti un'innegabile corrispondenza tra i suoni e la struttura morfosintattica della lingua russa e il risultato che i Kraftwerk probabilmente si erano prefissi di raggiungere e comunicare mediante la loro musica. Lingua sintetica (non analitica, come ad esempio l'italiano, dove i nessi sintattici tra le parti del discorso sono espressi dalle preposizioni), il russo riduce e implode i rapporti tra i membri della proposizione.

Lasciamo per un momento queste considerazioni di carattere linguistico e spostiamoci a Mosca, dove esiste una via, chiamata Arbat, grosso modo l'analogo delle nostrane Porta Portese o Ponte Vecchio, dove un ragazzo, Andrey Lysikov, data di nascita 29 settembre 1971, un biondino dal corpo minuto e magro, istoriato con numerosi tatuaggi, all'inizio degli anni Novanta si guadagna da vivere vendendo matrioske. Hobby preferito: frequentare lezioni di breakdance. Nel 1992 si unisce a un gruppo rap, chiamato Malchishnik, e ne diventa in breve il leader carismatico, scrivendo quasi tutti i testi e le musiche dei brani che interpreta con la sua voce (non si considererà mai un cantante professionista e ammetterà apertamente di non avere "orecchio" musicale). Il gruppo alla guida di Lysikov incide vari Lp, sfiorando diverse volte il caso nazionale, a causa dei testi per i quali il rettangolino bianconero "Parental Advisory", semmai fosse stato applicato sulle custodie dei cd, non sarebbe servito che da pallido paravento: i testi di Lysikov pullulano di sesso e turpiloquio a tutto spiano, un vero scandalo in un paese come l'Unione Sovietica che, cigolante e resistente, ha appena cominciato la lenta marcia verso le riforme e guarda ancora con diffidenza e persino timore al mondo occidentale, con le sue mode e le sue bizzarrie capital-consumistiche.

Sperimentatore estremo, Lysikov è in Russia il primo in assoluto a incidere un cd riproducibile contemporaneamente in Dolby Stereo, Dolby Digital e DTS. L'anno è il 2001 e l'album si intitola "Ja budu zhit' ".

Ultimo di una nutrita serie di album da solista, nel 2004 Lysikov pubblica "Zvezda", utilizzando in copertina lo pseudonimo di Dolphin, che aveva scelto per sè già dai tempi dell'ensamble Malchishnik. Avevamo iniziato a trattare di questo disco parlando della sintesi degli elementi morfosintattici che è favorita dalla struttura della lingua russa. Ebbene, tutto l'album documenta la tensione inquieta del suo autore che giunge alla creazione di un'opera per riduzione e sottrazione. Lysikov-Dolphin butta come zavorra da un pallone aerostatico, chè altrimenti non si leverebbe in volo, ogni ridondanza di parole, immagini, suoni. Un lavoro di scavo alla ricerca di sè, del proprio universo interiore. Alla scoperta di ciò che è per lui veramente importante. Alla scoperta dell'Essenziale. Tutto cospira al raggiungimento di questo risulato, a partire dalla copertina del disco, un rapido schizzo a pastello dell'artista Yuri Kononenko. Essenziale la musica: drum machine e un filo di chitarra acustica, pochissime tastiere, una manciata di corte melodie elaborate al computer.

Il disco inizia con il frastuono delle percussioni di Karim Suvorov in "Sumerki", per proseguire con gli scarniti accordi e la voce di Dolphin, incerta, rotta come da un'emozione che gli affiora in gola. Dolphin appoggia con delicatezza i propri versi sugli esiti sonori minimali dei programmi del suo pc portatile. Utilizza loop fatti in serie, di cui non è assolutamente geloso, tanto da collocare addirittura alcune basi nel proprio sito, a libera fruizione dei visitatori. Ritmi lievemente, vagamente trip hop. Voce utilizzata più per "dire" i versi che per cantarli. Rap non rap. Non testi ma poesie. Dal punto di vista musicale, l'inizio delle sue canzoni è spesso quieto e riflessivo, per poi aprirsi di solito nel finale, dove si accendono all'improvviso altri suoni oltre alla chitarra acustica, alla drum machine e alla voce del "cantante".

Nei testi di quest'album Dolphin indugia nell'esplorazione di temi che non lasciano il minimo spazio al sorriso, alle sensazioni che ci aspetteremo di provare ascoltando musica: parla di tristezza e di morte, di solitudine e di infinito ripiegarsi in se stessi, di separazioni violente, traumatiche, contro la propria volontà, dalla donna amata, che è strappata e portata via da un destino avverso e insondabile. In "Romans", un brano tutto avvolto nel velo di un rumore di forte vento e scariche elettriche, da sotto il quale udiamo emergere la voce affogata di Dolphin, ci sono ad esempio versi come questi: "Ditele che l'amo / E che muoio nella separazione da lei / E che con le mie braccia / Lei sola innalzo / Alle lontananze dei tramonti", oppure questi, in "Imya": "La stanchezza del vento urla di pena / Un grido mi copre la gola / Senti, piango di te / Le lacrime mi consumano, non posso fare altro / Il silenzio mi soffoca / Com'è possibile, ti ho persa / Angeli mi mangiano l'anima / Spengono la loro fame / Sono rimasto solo. Gelo".

Ciò che però salva dalla disperazione totale è lo scarto rispetto a una realtà che le figure retoriche impediscono di riconoscere nella sua concretezza, sinestesie e metafore pongono un velo di imperscrutabilità tra ciò che viene poeticamente immaginato e ciò che esiste. Alla fine della recensione potrete trovare il testo, che ho tradotto in italiano, di "Serebro" (in it.: "Argento"). Inutile precisare che la traduzione non ha la minima pretesa di rendere il valore poetico del testo (quanto meno, ritmo, rime e suono della lingua russa vengono perduti in partenza, irrecuperabilmente). Spero però che si riesca almeno a cogliere un esempio delle immagini utilizzate dall'autore. Questo testo, nella trasfigurazione panica dei due amanti-gocce di pioggia, ci presenta un'interpretazione del tema topico Amore-Morte. Mi è sembrato interessante, perché offre un ulteriore spaccato nella poetica di Dolphin, lontana questa volta da quella negatività pur presente in altre sue composizioni. Gli amanti sono, è vero, destinati a terminare la propria esistenza terrena come due gocce di pioggia che si asciugano una volta giunte sulla terra. Ma il destino è ciclico. Gli amanti attendono una rinascita. Non più morte. E non già speranza, ma certezza.

A impedire, poi, la definitiva caduta nel baratro di un pessimismo senza uscita, interviene l'abilità dell'autore nel creare situazioni spiazzanti. Prendiamo, ad asempio, il testo di "Vesna". Il brano sta tutto in cinque brevi versi ("Ci incontreremo di sicuro, mi senti / Perdonami / Là, dove sto andando, è primavera / So che riuscirai a trovarmi / Non restare sola"). Anche se si tratta un appello rivolto alla propria donna, ancora una volta, lontana, la base musicale molto ritmata con il massiccio (per una volta) accompagnamento delle tastiere è quanto mai energetica, non fa pensare a sofferenze psicologiche dovute a stati malinconici. Il cortocircuito di messaggi diventa ancora più forte se si accompagna l'ascolto del brano alla visione del videoclip: immagini di repertorio, in uno sdrucito e suggestivo Pal Color dei primordi della TV a colori, mostrano spezzoni tratti dalla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Mosca del 1980. Un bimbo dorme con la testolina appoggiata sulla spalla del papà, a sua volta seduto tra le altre decine di migliaia di spettatori sugli spalti dello stadio dove è in corso la cerimonia, poi, una lunga zoomata sui volti sorridenti di giovani donne che salutano emozionate un pupazzo gigantesco gonfiato d'aria: l'orsetto Misha, la mascotte delle Olimpiadi di Mosca, che s'invola verso il cielo. Immagini di gioia e festa: niente spazio, qui, per tristezza e malinconia.

Ascoltiamo, poi, altri due brani notevoli di questo album, che sono "MDMA", l'unico brano, assieme a "Sumerki", dove suona una batteria "vera", e "Glaza", dato come bonus track, duetto con Stella Katsoudas, a quel tempo esponente della scena Techno-Experimental-Alternative di Chicago, proveniva da collaborazioni con Peter Gabriel, Trent Reznor, Corey Taylor, ed è qui coautrice del testo cantato da lei stessa in inglese nel chorus e in russo nelle strofe da Dolphin.

L'ascolto di "Zvezda" rischia di tramutarsi in un'esperienza toccante, capace di segnare profondamente la sensibilità dell'ascoltatore. Questi suoni minimi, queste melodie stilizzate, prodotte da un giovane poco più che trentenne conosciuto come Dolphin, seduto al tavolo di casa sua davanti ad un pc portatile, trovano facilmente un varco dentro di noi, ci contagiano piacevolmente, e non se ne vanno più via.

Nota: i versi del titolo della recensione sono tratti da "Chuzhoy", traccia n. 3 di "Zvezda".

Credits: l'idea di recensire questo album mi è venuta leggendo questa recensione: http://www.debaser.it/recensionidb/ID18347/Encre_Flux.htm sulla base di transfer mentali del tutto arbitrari e molto probabilmente indebiti. Grazie di cuore a Trellheim, autrice della recensione ispiratrice!

 

Argento

Tu e io, due gocce diverse di un'unica acqua

Lacrime di nuvola

Ci frantumeremo sulla terra come cristalli

In volo circoli e ondeggi ci separeranno

L'infinito tendere verso il basso

Premiato dallo sguardo del sole

Porterà ebbrezza all'erba

Ci coricheranno vicini tu e io

 

O magari cadremo su dei visi

Ci asciugheranno dalle guance con le mani

Non ci saremo più tu e io sorellina

La pelle si seccherà con tracce d'acqua

O forse busseremo ai vetri di finestre

Con il cuore dell'autunno

A risvegliare in noi dolori sopiti

E accadrà con un grido silenzioso dell'anima

 

E non potranno trovarci, tu e io, tutto ciò che siamo è acqua

Non abbiamo che da attendere l'argento della pioggia

 

Non toccheremo terra tu e io

Spariremo in una fiamma ardente

Per avvolgerci ancora una volta

Nella seta morbida di un vessillo blu scuro

 

Per elevarci ancora una volta

E per scrosciare nuovamente

Basta non restare

Non essere sepolti nel ghiaccio dell'eterno

 

E non potranno trovarci, tu e io, tutto ciò che siamo è acqua

Non abbiamo che da attendere l'argento della pioggia

 

Dolphin, "Zvezda", 2004 Universal Music Russia

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