Ridurre reale e trascendente a equazioni e meccanismi esemplificativi è come leggere un libro che parla di un quadro. D'altro canto dimostrare la ristrettezza di campi e vedute delle scienze in modo oggettivo (ossimoro assoluto, insomma) è come evitare gli spigoli del comodino di camera vostra al buio. Entrambe le fazioni sbattono clamorosamente la testa l'una contro l'altra in cerca di un compromesso che non sarà possibile raggiungere. Perchè parlare di un'alba con formule che ne spiegano l'essenza rifendosi solo all'albero stesso non arriveranno mai a "figurare" quell'alba.  Ci sono però dei casi in musica in cui forma e contenuto coincidono in un rapporto di interdipendenza. Questa forma nei Don Caballero è stata dapprima irruente e violento arzigogolarsi in "deserti stoner" di mostri armati di goniometro ("For Respect" e "Second"), poi sottile ma frenetica descrizione delle sfaccettature della realtà (il don caballero 3, "What Burns Never Returns"). Che mai si parli d'astrazione però, perchè tali contorte tessiture sono pregne della materia che costituisce la realtà; l'ascolto attento porta a vedere conche tra gli spigoli, e come i sentimenti fuoriescano dalle linee geometriche intrecciate in musica. E' un usare la matematica per sputare in faccia a teorie precise che vogliono le linee equidistanti, i punti indivisibili e la totale assenza del caos: è di fatto l'ammissione di esistenza dell' umidiccia imperfezione su cui fondiamo la nostra (felice e anche no) esistenza. La differenza tra avanguardia e reazione qui sta tutta negli intenti di chi compone, molto più di influenze e illustri ispirazioni.

Ed è per questo che tra queste note non mi ci ritrovo. Forme sinusoidali prive di senso, astrazione involontaria che non è più comunicante, riferimenti a canoni estetici musicali che sono presi come sono, senza rielaborazione alcuna. La ragazza che vedete dopo anni e scoprite sconfitta e plasmata secondo i meccanismi imposti dagli "altri". Parte "Loudest Shop Vac In The World" e subito l'ultimo superstite dei Don Caballero originali, il funambolico Damon Che Fitzgerald, non manca di mettersi in mostra; ma sono sostanzialmente quasi dieci minuti che passano (più o meno) senza lasciar traccia, e un batterista mostruoso che suona mostruosamente convenzionale. Alla seconda traccia il deja-vu è nauseante, le solite chitarrine che si rincorrono e si intrecciano, come suonavano 13 anni fa, cambiano giusto gli esecutori. Esecutori tra l'altro paiono volersi accontentare del misero status di epigoni. Il disco corre fin troppo il rischio di essere una scimmiottatura dell'(ahimè lontano) passato, ed ecco che la musica assume pose vanamente minacciose, incupendosi tra riffoni granitici e fuzz a profusione ("Bulk Eye") e riletture hardcore in chiave math, ma con l'aggiunta occasionale del cantato. "Lord Krepelka" tocca i picchi di aggressivita del disco, (e qui sono veramente pregevoli i patterns di Damon Che) ma si ha sempre l'idea del bimbo casinaro al ristorante che s'annoia e cerca d'attirare l'attenzione. "Why The Couch Is Always Wet" ci ripropone i cori cari ai Battles (approdo dell'ex chitarrista dei Don, Ian Williams) in chiave adulta e totalmente priva di fascino, e in chiusura la title track porta alla mente i Trans Am di "Ordinary people" che fanno il verso ai Minutemen, ma senza far provare l'atteso punkgasmo.

Il resto sono (tanti) branetti brevi che spaziano dal post-rock più trito a insignificanti episodi ora noise, ora hardcore, ora math, ora tutto assieme. Non nego che l'ascolto sia comunque piacevole e che momenti più ispirati non manchino, ma tutto, a partire dalla produzione molto '90, fino ad arrivare a un approccio oltremodo manieristico,  pecca di personalità e ambizione. Se siete fan dei Don Caballero senza particolari aspettative o siete loro totalmente estranei, potete anche aggiungere stellette a piacimento, ma per il resto questo "Punkgasm" è un disco che sa di tappo anche nei momenti migliori.

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