Nelle scorse settimane, il sito ha pubblicato - sezione "Casi letterari" - un dialogo fra lo scrivente ed un religioso attorno alla figura di Don Luigi Verzé (1920-2011), prelato d'origine veronese che, nel corso degli ultimi decenni, si è distinto per la sua attività imprenditoriale nel settore della sanità e della ricerca scientifica, fondando a Milano l'Ospedale San Raffaele e tutte le strutture ad esso collegate.
Alcuni dei miei lettori più fidati - che fanno parte della "maggioranza silenziosa" del sito, quella che preferisce leggere e meditare, prima di commentare pubblicamente - sono rimasti sorpresi della collocazione dell'ultimo saggio, sommessamente contestandone la scarsa visibilità: li tranquillizzo, senza certo lamentarmi per sospette censure, o, peggio, per l'uso della tecnica a-democratica del promoveatur ut removeatur, riconoscendo che lo scritto abbisognasse di uno spazio meno esposto di quello usualmente riservato ai miei saggi.
Devo pure ammettere che la scelta della Redazione mi ha fatto riflettere sull'esigenza di dare alla figura di Don Verzè uno spazio maggiore, utilizzando allo scopo lo stile secco e giornalistico che animava i miei primi scritti per Debaser, e che, ultimata questa necessaria premessa, intendo utilizzare come omaggio ad uno dei miei punti di riferimento, Giorgio Bocca, scomparso negli stessi giorni di Don Verzé.
Negli ultimi anni della propria vita, prima di vedere la propria organizzazione al centro di indagini della magistratura penale per sospetti atti di corruttela ed altri reati connessi, Don Luigi Verzè pubblicò quest'ampio ed approfondito libro (Mondadori, 2004), che ne compendia l'apostolato, l'opera, la missione.
Figura ampiamente discussa in vita ed in morte, don Luigi Verzè fu una singolare icona di sacerdote, perfettamente calata nella realtà italiana dagli anni '50 alla morte: lo fece nella prospettiva dell'uomo di fede e del religioso che non si accontenta del puro apostolato religioso; di chi, alla stregua di uomini come don Milani, don Giuseppe Dossetti, don Ciotti, don Baget Bozzo, don Gelmini, don Gallo ed altri, non si accontenta di "parlare" come pastore d'anime, ma "agisce" nel mondo da vero pastore, cercando e curando il proprio gregge.
Il gregge di Verzè fu la Milano degli anni '50, ed il pascolo prescelto fu quello della sanità, della cura dei corpi come presupposto per la cura stessa delle anime: da qui l'esigenza di creare una struttura ospedaliera che curasse, nella "capitale morale" del Paese, chiunque ne avesse la necessità; la connessa esigenza di sviluppare la ricerca scientifica accanto alla cura dei corpi, con una scelta radicale e non sempre condivisa dal clero, dove l'apostolato di Verzè seguiva l'esempio galileiano, separando il libro del mondo da quello della Fede; negli ultimi anni, quella di trascendere la pura ricerca medica mediante la creazione di uno studium filosofico in cui alcuni dei massimi intellettuali dei nostri tempi, non necessariamente cattolici, hanno potuto coltivare in assoluta libertà le proprie arti speculative.
Don Verzè non fu solo in quest'opera: talora isolato presso gli ambienti di Curia, fisiologicamente restii ad accettare alcune novità di metodo e merito imposte dal prelato veronese, trovò sponda in alcuni rappresentanti della borghesia meneghina e lombarda, oltre che in politici provenienti da opposte ideologie, ma accumunati da analogo "umanesimo": i più noti - ma è bene ricordare: non gli unici - rappresentanti di questo milieu sociale furono Benedetto Craxi e Silvio Berlusconi, che per primi dettero credito alle visioni del sacerdote, saldando messaggio religioso, pragmatica religiosa, alla pragmatica politica ed imprenditoriale.
Il legame con imprenditori e politici discussi, ma per certi aspetti hanno segnato un'epoca ed un intero Paese, spiega anche i giudizi ambivalenti sulla figura di don Verzé: vi è chi ne ha dato un'immagine estremamente negativa, anche alla luce delle indagini penali in corso prima della morte del prelato, sostanzialmente avvicinando la sua figura a quella del mercante introdottosi surrettiziamente nel tempio, assieme a compagni di dubbia morale ed integrità; altri, pur non negando il ricorso a metodi ambigui da parte del prelato (che in questo mondo, con tutte le sue imperfezioni, operava), lasciano sospeso ogni giudizio sulla sua figura, considerando i grandi risultati ottenuti dal San Raffaele, sia come centro ospedaliero, che scientifico e filosofico.
Il libro qui recensito ha un carattere autobiografico, per certi aspetti apologetico, che certo non contribuisce a mettere pienamente a fuoco la figura di Verzè; scritto in maniera precisa, sapida, appassionante, rappresenta una vicenda umana e religiosa che nessuno può ritenere irrilevante, sulla quale soltanto la Storia, o il Giudizio (per chi vi crede) potranno pronunziarsi.
Certamente questo testo aiuta a collocare la figura di don Verzè nella dimensione di una giusta, necessaria, complessità, allargando l'orizzonte in cui il suo astro è sorto, ha raggiunto il suo zenit, per poi lentamente declinare, come molte volte è accaduto ai grandi e piccoli personaggi della storia.
E' prevedibile, come già si è visto a margine del precedente dialogo filosofico, che la maggioranza berci nei confronti di don Verzè giudizi irripetibili ed irriferibili, scagliando contro di esso la propria pietra; confido, tuttavia, che la minoranza più attenta ai miei scritti o "casi letterari" colga, nella parabola di don Verzè, l'essenza stessa della Vicenda umana, apprezzandone la luce fulgida, spesso vicina alla tenebra più oscura.
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