Dylan e Donovan.

Purtroppo sembra impossibile parlare di Donovan senza citare quello che fu il suo grande rivale Bob Dylan. Le case discografiche lo sapevano bene che le rivalità tirano, e quando questo giovane cantautore britannico si affacciò sulla scena musicale negli ormai lontani anni ‘60, si sprecarono i commenti sulle similitudini vere o presunte tra il Nostro e il Freewheelin': un autentico coltello a doppio taglio, che attirò i fan del già famoso Bob ma anche i giudizi impietosi della critica.

Ma seppure i due avessero come fonte di ispirazione gli stessi  artisti (Woody Guthrie, Jack Elliot), le loro personalità musicali erano ben differenti  e questo sarebbe divenuto manifesto da li a poco. Infatti, mentre nel  ‘65 Dylan abbandonava le sonorità acustiche che lo avevano caratterizzato sin dall'esordio per approdare al blues, Donovan  iniziava una fase di sperimentazione che gli permise di spaziare dalla psichedelia, allo psych blues, al pop di matrice british, in pratica tutti i generi che imperversavano in quell'epoca. Una sorta di onniscente supereroe musicale, con le mutande sotto al costume e delle folte basettone. "Sunshine Superman", che è anche il titolo del suo maggiore successo.

Quest'album è un piccolo capolavoro di completezza, che alterna elementi  lisergici (che ne risultano essere gli episodi migliori) come la title track, "The Trip" e la splendida "Season of the Witch", a brani più blues ("Bert's Blues"), a pezzi di matrice chiaramente folk ("Celeste", "Ferris Wheel", "Guiniver") e addirittura a sonorità raga ("Three Kingfishers").

Con quest'opera Donovan dimostrò di non essere un semplice clone del ben più famoso Dylan, bensì un artista a sé stante, ispirato e lontano dalle facili emulazioni.

Album stra-consigliato.

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