Lo spazio di tempo che separa "Neutronica" (1980) da "Sutras" (1996) si può descrivere come una lunghissima dissolvenza, un esilio solo in parte volontario: fatto sta che all'ottimo e coraggioso album del 1980 segue l'anno successivo il misterioso ed irreperibile "Love Is Only Feeling", quindi nel 1984 un "Lady Of The Stars" composto in gran parte da riedizioni di suoi vecchi cavalli di battaglia, poi il nulla: niente più nuovo materiale, Donovan si limita all'attività live, documentata con l'album "Rising" del 1990 fino a quando, dopo tanti, troppi anni qualcuno si ricorda ancora di lui e gli dà la possibilità di tornare ad esprimere la sua arte: si tratta dell'eclettico produttore Rick Rubin, che lo accoglie nella sua American Recordings e produce "Sutras", album di caratura sopraffina.

Sutra è un termine mutuato dalla cultura indù traducibile come aforisma o breve poesia, un concetto che descrive alla perfezione le quindici canzoni di questo album, divise in maniera quasi uguale tra amore e meditazione; l'album è accompagnato da arrangiamenti che fungono da arricchimento a completamento senza mai prevaricare la matrice prettamente acustica delle composizioni, Donovan aveva già tentato un esperimento analogo nel 1973 con "Essence To Essence" ed i risultati erano stati, come ho ribadito più volte, inferiori alle aspettative, "Sutras" invece, complice anche il lunghissimo periodo di silenzio (ed incubazione) che l'ha preceduto è un successo totale e completo. Inizialmente questo disco, più che per le canzoni, rimane impresso per la peculiare sensazione di pace, onirismo e meditazione che riesce ad infondere nell'ascoltatore, solo in un secondo momento emerge l'organico eclettismo che contraddistingue l'album, i suoi microcosmi contenuti in ogni canzone, l'armonica sfilata di stati d'animo che danzano seguendo le suadenti parole di Donovan una danza antica ed universale.

La prima parte di "Sutras" fa riferimento esclusivo a temi amorosi: la sobrietà quasi scarna di "Please Don't Bend", un sogno tormentato ed irraggiungibile, la dolcezza di "Give It All Up" che conferma le somme doti di creatore di melodie del menestrello scozzese, sublimando nell'elevazione spirituale di "High Your Love", scandita da sintetizzatori e percussioni tribali, la dolcezza cullante di "Sleep", ninnananna tradizionale arrangiata con rara sensibilità e gentilezza, la poesia di "Everlasting Sea", melodia dilatata ed onirica, sorretta magistralmente da un maestoso vortice di archi in sottofondo e l'inconfondibile andamento psichedelico e rallentato di "The Clear-Browed One", in cui rivivono suggestioni del passato e l'elegantissima "Be Mine", arricchita da un pianoforte molto "notturno" accompagnato dalla solenne ieraticità di un organo, in cui vengono rievocate suggestioni cosmiche. Il preponderante lato spirituale e meditativo di "Sutras" è un viaggio ancora più eclettico, in cui ogni canzone è quasi una diretta conseguenza della precedente, in una concatenazione di armonie eterogenee: "The Way", l'unico uptempo dell'album, che ricalca l'inconfondibile sound dei Byrds, i battiti dolci ed ovattati della minimalista "Deep Peace", la tensione rarefatta, il mistero palpabile che esplode nel liberatorio ed echeggiante chorus di "Nirvana", le suggestioni flamenche della stupenda "Eldorado", poesia di Edgar Allan Poe che prende vita nella voce magnetica di Donovan accompagnata dalla sola chitarra acustica e da lontane e romantiche orchestrazioni, con la stessa arte di un incantatore di serpenti. La sommessa nenia notturna di "Lady Of The Lamp" prelude ad un'esplosione di luce, che sboccia lentamente in "The Evernow", un soffuso ma raggiante tripudio di archi che spezza le trame ombrose della chitarra acustica per poi irradiarsi in tutta la sua forza con "Universe Am I", il fiore di loto nel pieno del suo splendore, la canzone più enfatica e solenne dell'album, immediata ed anthemica, che incarna la visione, la profezia di una futura età dell'oro, di un'epoca di pace ed equilibrio, crescendo scandita da una batteria in primissimo piano, che conferisce ritmo e vividità e questa utopia idealista. Chiude il ciclo la visione distante e sfocata di una genesi universale, "The Garden", accompagna da un flauto soffice e misterioso che fa da contraltare ai sommessi arpeggi e ad un cantato quasi perso nel vuoto.

A sedici anni di distanza dall'ultimo lascito discografico di significativa importanza "Sutras" conferma ancora una volta che artista meraviglioso e straordinario sia Philip Donovan Leitch, alle prese con un quasi concept album colto ed affascinante, caratterizzato da una poetica universale e da tempo sognato e desiderato; "Sutras" ricorda nell'approccio lo stile adottato successivamente da Yusuf/Cat Stevens, ovvero riflessione e raffinata essenzialità, con ispirazione e classe ancora maggiori; un plauso anche a Rick Rubin, che capisce le esigenza dell'artista e le asseconda alle perfezione con arrangiamenti sublimi ed un sound avvolgente e cristallino. "Sutras" è anche il definitivo testamento artistico di Donovan, con il senno di poi se avesse chiuso qui la sua carriera da "recording artist" avrebbe fatto la scelta giusta, dato che il successivo "Beat Cafè" sarà una sorpresa amarissima.

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