Ascolti heavy metal da una vita. Ti sei dato allo stoner-doom da quando il paffuto sign. Justin degli Electric Wizard ti ha preso per mano e condotto nelle braccia tentacolari di millenarie creature lovecraftiane. Incappi in un gruppo chiamato Doomriders sul web, tutti parlano un gran bene della loro ultima fatica, “Darkness Come Alive”: pensi che con un nome così non puoi farteli scappare, per poi scoprire che con il doom I signori hanno in comune poco più dell’invitante moniker. Sarà perchè nel gruppo sono coinvolti Nate Newton (come voce e chitarra) e Kurt Ballou (in veste di produttore), entrambi dritti dritti dai Converge, altro gruppo che adori ma che non rispolveri più da un pezzo causa recente avversione fisiologica ad ascoltare qualsiasi cosa viaggi al di sopra dei 45 bpm.

Il disco te lo ritroverai persino in mano un paio di volte nel solito megastore, e quasi quasi lo prenderesti giusto per la consapevolezza che a Roma non l’avresti trovato nemmeno per sbaglio (una delle 5 ragioni per cui vivere fuori dall’Italia si chiama HMV). Alla fine, con le mani già piene dell ultime perle rare che completano la discografia delle tue band preferite (“Tab…” dei ‘Magnet a 5 pounds? Mio!), decidi di non comprarlo e di procurartelo in altri modi. Detto fatto, una mattina lo infili nell’iPod per dargli una chance durante il viaggio per l’università (un’ora di bus, mortacci loro…). Lo ascolti. Il giorno dopo sei di nuovo nel solito megastore, a fare la fila per comprarlo.

Perchè questo, signori, è un discone. Per quanto mi riguarda è una delle cose più valide sinora ascoltate all’interno del suo genere, o meglio, generi. Sì, perchè pur non essendo, come già accennato, propriamente doom (almeno nel senso più tradizionale del termine), l’album tocca dei picchi (o sarebbe meglio dire, degli abissi) di marciume che affondano a piene mani nello sludge e nell’heavy più catramoso dei Down. Sono doom, tanto per dire, come lo sono anche gli High On Fire: giusto forse nell’approccio, per poi svilupparsi in qualcosa di diverso; in questo caso, un sound che fonde metal estremo (alla fine sempre di metà dei Converge stiamo parlando) ad un piglio più propriamente hardcore. Anche a livello vocale, l’ottima prova di Newton ricorda molto una via di mezzo tra Matt Pike e, in alcuni frangenti, (è una mia impressione) il cantante del gruppo southern-hardcore Every Time I Die.

Escludendo la brevissima intro strumentale, praticamente i primi 5 pezzi sono uno più bello dell’altro, dalla prima traccia vera e propria, “Heavy Lies The Crown”, alla stupenda quasi title-track, “Come Alive”. E come rimanere impassibili al riff imponente che esplode a metà di “Lions”? O dell’apertura minacciosa di “Jealous God”? O dell’ultima “Rotter?” Davvero, la qualità dei pezzi, peraltro tutti molto brevi e quindi ancora più d’impatto, è tale che mai come in questo caso un track-by-track è stato più futile: è uno di quei dischi da ascoltare per intero, senza cercare questa o quell’altra traccia chiave, uno di quei dischi che se ti distrai un attimo ti ritrovi già al pezzo successivo. Una ventata d’aria fresca (e allo stesso tempo “malsana”) per chi come il sottoscritto solitamente macina le dozzine e dozzine di minuti dei classici pezzi doom.

Se vi piace anche solo uno dei nomi finora citati, dategli un’ascolto e ditemi. Per me uno dei contendenti al titolo di disco dell’anno assieme all’ultimo del gruppo-“madre” Converge (che spero di recensire a breve) e all’album blu dei Baroness, e un’ottima ripresa dopo la delusione assoluta dell’ultimo Fu Manchu.

Come avrete capito, consigliatissimo.

 

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