A volte ritornano”

Se è vero, citando il buon Simon Reynolds e il suo bel saggio “Retromania” di recente pubblicazione, che il passato ha oramai invaso il presente musicale, oberando musicisti e ascoltatori di riferimenti artistici a portata di click, la paura che il mondo della musica sarà sempre più dominato da vecchi babbioni del rock (o ancora peggio da giovani “vecchi” musicisti, dediti al record-collection rock), da spauracchio può diventare tangibile realtà.

E allora perchè parlare del nuovo disco di Mac Rebennack, in arte Dr. John? Potrei consigliare di recuperare il suo esordio “Gris Gris” o il successivo, per assaporare la miscela creola che il “Night Tripper” faceva ribollire in quel di New Orleans a fine '60, accoppiando tradizione caraibica, ipnotiche danze voodoo e tradizione jazz-blues, e morta lì. Invece bisogna parlarne di questo “Locked Down” , perchè di muffa e stantio non ve ne è manco l'ombra.

Il buon Mac, come ogni revenant che si rispetti, torna all'onore delle cronache togliendosi la polvere di una carriera che, dopo gli inizi, era continuata sui binari di un onesto (ma più canonico) jazz blues. Buona parte del merito va doverosamente data a Dan Auerbach, deus ex machina dei Black Keys, che lo ha stanato e lo ha riportato in studio, producendo il disco e suonando col dottore. Tanto di cappello ad uno che, seppur per molti ha venduto la sua selvatica creatura garage blues alle major, utilizza i mezzi a disposizione per far riscoprire un grande artista, riuscendo anche a rinfrescarne la vena artistica.

Dalla titletrack iniziale, con l'organo del dottore a duellare con la chitarra di Auerbach in un funk soul torridissimo, fino al classicismo '60s di “God's Sure Good” il disco scorre con una facilità da “classico” senza tempo. Fra un Tom Waits soul che suona come “Minnie The Moocher” (“Big Shot”), sincopi ritmiche degne di Bobby Womack (“Ice Age”), ricordi voodoo con flauto prog (“Eleggua”), fino ad un geniale incontro fra il jazz blues del Mississippi e l'ethio-jazz di Mulatu Astatke (“You Lie” ma soprattutto la bellissima “Revolution”), quasi inesistenti i passaggi a vuoto. Palma d'oro comunque a “Getaway”: simil funk-blues, crescendo soul, ripartenza finale con assolo clamoroso di Auerbach.

Il dottore non sarà più lo stregone Voodoo di una volta, ma seppur 72enne, voglia di diventare cibo per vermi sembra non averne. E poi, nel qual caso, potrà sempre chiedere al Baron Samedì di dargli una mano.

Carico i commenti...  con calma