Chi ascolta doom metal sa benissimo quali sono i gruppi cardine del genere. I vari My Dying Bride, Anathema, Tristania, Theatre Of Tragedy e altri che non sto a citare adesso costituiscono senza dubbio le scure e malate radici dalle quali si è sviluppato questo genere, che oggi vanta tanti esecutori purtroppo non tutti allo stesso livello. Si aggiunga a ciò le contaminazioni con un altro genere ipersviluppato, il Gothic Metal, soprattutto nella sua variante "beauty and the beast", che vede l'alternanza nel cantato tra una voce femminile ed una maschile (spesso in growl). Questo schema canoro è stato a lungo il marchio di fabbrica dei già citati Tristania e Theatre Of Tragedy per esempio, che lo hanno canonizzato e portato forse al suo apice. E' naturale che ascoltando oggi un disco appena uscito di un gruppo che suona con quelle sonorità tanto in voga nella metà degli anni Novanta (quando il doom era appena sbocciato) non si può non avere un qualche pregiudizio, come se inevitabilmente ci si preparasse a solcare terreni già ampiamente calpestati. Ma gli svedesi Draconian nel 2003 confezionano un debutto, questo "Where Lovers Mourn", che lascia piacevolmente sorpresi. E' vero, gli elementi usati sono ripresi un po' da vari gruppi: la voce femminile angelica e eterea (Tristania, Theatre Of Tragedy e altri), l'alternanza nella voce maschile tra growl e voce pulita/recitata (un po' tutte le band), l'uso di archi (Tristania e My Dying Bride), i cambi di tempo repentini (Anathema e My Dying Bride)... Eppure l'amalgama suona perfetta, ogni pezzo va al suo posto e contribuisce a creare un'atmosfera decadente e malata che tanto si appoggia anche ad un certo romanticismo in arte e letteratura (caratteri tipici del doom inglese). Le otto tracce che compongono questo album non sono tutte di eguale bellezza e profondità (l'apice creativo del gruppo verrà più tardi con "Arcane Rain Fell"), ma ci sono delle canzoni e degli spunti veramente eccezionali.

L'apertura "The Cry Of Silence" già tratteggia con le sue tastiere e le chitarre piangenti un'atmosfera plumbea e grigia, avvolgente e cupa. Dopo poco entra in campo la voce maschile che intona un verso recitato, subito contrapposto alla voce femminile dimessa e lontana, che poi lascia il posto al growl disperato e rauco. Il ritmo già comincia a farsi più incalzante e intenso, salendo di tono sino alla metà, dove un break con la batteria e una chitarra in lento crescendo ricordano tanto gli Anathema di "The Silent Enigma" e introducono una parte più rabbiosa e dai toni quasi death, dominata in maniera splendida dal cantante Anders Jacobsson che qui sfoga tutta la sua furia repressa. Questi si dibatte come un angelo caduto che, dalle profondità del suo inferno, guarda in alto verso le nuvole chiare, dove una voce celestiale lo bandisce per sempre dal paradiso. La traccia è molto lunga e epica, eppure non annoia, merito dei già citati cambi di tempo e del pathos sublime che sa creare.

Altra bellissima traccia è "A Slumber Did My Spirit Seal", con le liriche prese in prestito dal poeta romantico William Wordsworth. La canzone beneficia di un sapiente uso degli archi, che le conferiscono un sound quasi più folk, e vede la prevalenza della voce femminile di Lisa Johansson su quella maschile. Un drumming incalzante e teso fa da struttura portante a tutta la composizione, illuminata da una luce meno oscura della traccia precedentemente descritta, a beneficio di una generale malinconia e rassegnazione.

Pure la successiva "The Solitude" vede l'uso dei violini a tratteggiare quello che è il riff principale di tutta la traccia, la quale a tratti può risultare un po' monotona (e di certo inferiore alle altre in quanto a emozioni), ma ha dei momenti veramente intensi e struggenti.

Dove invece i toni si fanno più duri e aggressivi è con "The Amaranth", bellissimo e adrenalinico pezzo introdotto dall'angelica Lisa che quasi subito lascia al rabbioso Anders, il quale inanella una serie di versi intensi e drammatici, interrotti poi da una parte tastieristica sottolineata dallo stupendo riff delle chitarre, presenti e taglienti come una tormenta invernale, incisive e ferali. Veramente un bel pezzo, complesso e articolato quanto basta, vivace e con ottimi cambi di atmosfera legati alle due voci, con continui stravolgimenti di tempo e cambi di ritmo.

Passando per la medievaleggiante "Akherousia", un lamento femminile a lume di candela, si arriva alla finale stupenda "It Grieves My Heart". In parte la traccia chiude il cerchio aperto da "The Cry Of Silence", riproponendo una struttura simile eppure ugualmente intensa e drammatica. Le due voci almeno nella prima parte sono ben bilanciate, con un ritmo lento e pachidermico tipico del doom, rivitalizzato da parti più acustiche e recitate. Poi d'improvviso il ritmo muta, si trattiene il fiato e ci si immerge in una rapida spirale di rapida sofferenza e dolore, caratterizzata dal trittico growl - batteria pulsante - chitarre vorticose. Il break dura poco, un minuto circa, ma serve a dare un preciso scossone al brano, che subito si incanala di nuovo nei binari dai quali era partito, e lì si conclude, con un'emotivamente intensa parte recitata.

Il disco è un ottimo debutto, sicuramente da avere se amate il gothic e il doom e soprattutto se già conoscete i Draconian. Ha in sé certi elementi che verranno poi riproposti con maggiore maestria e padronanza in "Arcane Rain Fell": in alcuni momenti potrà risultare grezzo e monotono, ma certe tracce, almeno quelle da me citate, saranno in grado sicuramente di rialzare il tono generale di tutta l'opera. Un ottimo debutto quindi, avanti così.

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