L'attesa per il primo disco dei Dream Theater dopo l'uscita del batterista e cofondatore Mike Portnoy era divenuta spasmodica per i fans più accaniti e probabilmente anche i più feroci detrattori erano in attesa di ascoltarlo per confermare la pessima idea che avevano del gruppo od eventualmente modificarla in funzione di eventuali cambiamenti epocali nel sound della band, in seguito all'arrivo dell'ottimo batterista Mike Mangini, degno sostituto di Portnoy.

L'album non è ufficialmente uscito nei negozi, tuttavia le canzoni sono state tutte caricate (all'insaputa della band e dell'etichetta?) su Youtube, pertanto è facilmente ascoltabile in rete da chiunque possieda una buona connessione internet. Passiamo all'analisi del disco. Se ci si aspettava cambiamenti epocali nel sound della band americana, ebbene essi non sono arrivati, tuttavia è netto il distacco qualitativo dalle produzioni successive "Six Degrees Of Inner Turbolence" (a giudizio di scrive uno dei loro migliori lavori) sia per inventiva che per produzione. Sono stati finalmente abbandonati i (presunti) growl introdotti dal precedente batterista qui e lì senza particolare integrazione con il sound od i testi di alcune canzoni dei loro più recenti lavori, in favore della sola voce di LaBrie, complessivamente "pulita" ma a volte, modificata da distorsioni ben introdotte nel contesto sonoro. Il sound è molto più bilanciato, la batteria è meno "pompata" dei dischi precedenti ed il gruppo sembra aver trovato un maggiore equilibrio, con un Myung finalmente più presente. Sorprende l’incursione nel mondo dell’elettronica (cara a Jordan Rudess) che la band fa nell’ottimo brano Build Me Up, Break Me Down, una sorta di Caught In A Web rivista in chiave contemporanea.

Dal punto di vista tecnico il disco spicca per la notevole complessità di molti dei suoi brani, complessivamente più elaborati che in passato, spesso un po' ipertrofici, ma ricchi di assoli dalle sonorità interessanti, sia di chitarra che di tastiere, anzi il lavoro di Rudess è particolarmente interessante proprio dal punto di vista dell'effettistica impiegata, spesso inedita rispetto ai precedenti lavori. Le linee vocali di LaBrie non sono sempre di facile assimilazione ma sono ispirate e ben adattate al contesto sonoro. Il lavoro di batteria di Mangini è particolarmente efficace nel supportare i potenti riff di chitarra ed assecondare le svisate del duo Rudess-Petrucci. Probabilmente da un batterista del suo valore tecnico e della sua esperienza ci si aspettava qualcosa di più ed una maggiore personalità, per il momento accantonata in favore dei membri "storici" della band; da questo punto di vista lo si attende al varco in eventuali successivi lavori e dal vivo. Tralascio il track by track per rendere più inaspettato l'ascolto dei singoli brani, tuttavia mi sento di spendere alcune parole in più per Breaking All Illusion. La penultima canzone del disco non può che, almeno a giudizio di chi scrive, essere considerata non solo la miglior canzone del disco, quanto piuttosto la miglior canzone dei Dream Theater almeno dai tempi del succitato Six Degrees Of Inner Turbolence. Il riff di apertura di Petrucci-Rudess, splendidamente supportato da una linea di basso continua e ben in evidenza ed una batteria incalzante ed essenziale sfocia nel tema portante dell'intera canzone, qui ripreso dalla sola tastiera, ma che sarà successivamente oggetto delle armonie vocali di LaBrie. Dopo un inizio entusiasmante, la "furia" spiccatamente progressive eppur sempre metal della band si arresta per lasciar spazio ad una prima strofa quasi sussurrata, dove il connubio basso-batteria fa da sfondo ad un LaBrie quantomai ispirato. La canzone prosegue per altri 10 minuti tra rincorse di chitarra e tastiera, aperture soft, tempi dispari, tastiere seventies e classicheggianti, riff che rimandano a sonorità progressive degne dei lavori migliori della band in un turbinio di emozioni che sfocia nelle preziose armonie tracciate da un magnifico assolo in riverbero e delay di Petrucci. Non finisce qui, è ancora tempo di arpeggi ed atmosfere soft impreziosite da un lavoro di Petrucci ancora molto ispirato. La canzone prosegue ritornando alle sonorità più heavy degli inizi con nuovi riff cervellotici ed affascinanti ed un rientro di LaBrie da pelle d'oca. Probabilmente da sola varrebbe l’acquisto del disco. Da sottolineare la presenza di ben tre ballad: This Is The Life, Far From Heaven e Beneath The Surface, sul cui ispirato ed elegante arpeggio di chitarra si conclude l’ultimo lavoro della band statunitense.

In conclusione, "A Dramatic Turn Of Events" è uno dei dischi più belli dei Dream Theater, uniforme nella tracklist, coerente nelle scelte stilistiche con quanto prodotto sin d’ora dalla band, che tuttavia finalmente smette di limitarsi ad un pur gradevole (per i fans) autocitazionismo, trovando nuova ispirazione nella “drammatica” svolta degli eventi del loro recente passato ed instillando nuova linfa vitale in un sound più cupo e riflessivo del solito, sebbene mai plumbeo come in Train Of Thoughts, in cui trovano spazio anche sonorità ed armonie inedite per la band. Un sound pur sempre riconoscibilissmo e vero marchio di fabbrica di una band che, con alti e bassi, ha contribuito indiscutibilmente alla storia del Metal.

Voto: 8/10

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