Sono tornati. Dopo il fantastico 'Train Of thought' i maestri ritornano sulle scene con un album che è stato definito come un riassunto della loro intera carriera, essendo anche l'ultimo con l'etichetta Atlantic.
Ma tralasciando l'alone di mistero che avvolge questo progetto (si parla della sezione aurea utilizzata nelle canzoni, di varie citazioni anche autocelebrative nei testi e altro ancora) quello che ci interessa veramente è la musica. La musica, che ha reso immortali i DT sin dal primo amato/odiato album con Dominici alla voce, in questo 'Octavarium' lascia un pò perplessi. I primi due pezzi scivolano via senza lasciar traccia e anzi "Answer Lies Within" risulta addirittura fastidiosa per quanto è mieloso il ritornello. Con la terza traccia "These Walls" si torna a sorridere per poi sprofondare nello squallore assoluto di "I walk beside you" che non sfigurerebbe (e non è un complimento) su MTV. La quinta è di gran lunga il momento migliore del disco, "Panic Attack" si apre con un trascinante riff di basso del povero Myung, che fino a qui non si era quasi sentito, per proseguire con sperimentazioni vocali veramente piacevoli accompagnate da un riffing sempre potente. Si passa a "Never Enough" che musicalmente contiene dei passaggi interessanti (bellissimo il riff di armonici stoppati che accompagna le vocals effettate nella parte centrale della canzone così come il lungo passaggio strumentale, quasi un solo, che conduce ale ultime strofe) ma le cui linee vocali non mi hanno convinto del tutto.
Un prologo di voci radiofoniche vagamente ipnotiche porta alla penultima canzone "Sacrificed Sons". 10 minitui e più che potevano benissimo essere 6 se i DT non avessere dilatato a dismisura la prima parte del pezzo; in definitiva una traccia che pur contenedo qualche bel passaggio sparso qua e là non lascia molto all'ascoltatore. E infine la title track, "Octavarium", con i suoi 24 minuti. L'inizio è in stile Pink Floyd, con atmosfere assai dilatate e una chitarra seventies, ma di canzone per i primi 4-5 minuti c'è molto poco e anche in seguito il pezzo si trascina stancamente con linee vocali ripetute sino allo stremo. Insomma non è "A change of season" ma una normale canzone dei DT con le strofe pedissequamente riproposte fino a farti desiderare di spegnere il lettore; bisogna aspettare il minuto 12 per sentire una variazione, un bell'assolo di Petrucci che introduce una seconda parte cantata più ritmata. Da qui sino al 20° minuto c'è la parte più bella del pezzo, quasi interamente strumentale con la chitarra di Petrucci che tesse trame dai sapori prog anni 70. La conclusione è nuovamente lenta e dilatata ma si può fare a meno di ascoltarla e fermarsi al minuto 20 perchè dopo c'è un lungo assolo accompagnato da un orchestrazione di tastiera che nulla aggiunge al resto.
In definitiva non si può dire che sia un brutto album ma era d'obbligo attendersi qualcosa di meglio.
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