Parlare dei Dream Theater è sempre molto difficile: poche band come loro separano il pubblico in modo così netto. O li si ama o li si odia. Personalmente, non ho mai sentito nessuno dire "Si, sono bravi, mi piacciono ma non troppo". Chi li adora (come il sottoscritto), li adora perchè sanno fondere perfettamente brani in cui la tecnica domina (mi viene subito in mente "The Dark Eternal Night", da Systematic Chaos) ad altri in cui, pur avendo una buona dose di tecnica, sono ricchissimi di emozioni e sentimento (impossibile, in tal senso, non citare la celeberrima "The Spirit Carries On", dal loro massimo capolavoro, insieme con Images and Words, secondo me, Metropolis pt. 2: Scenes from a Memory) ad altri, più rari, in cui la tecnica è praticamente assente (come Through Her Eyes, capolavoro di emozioni presente sempre in Metropolis pt. 2); chi li odia, li odia perchè in loro vede solo inutili tecnicismi fini a sè stessi e plagi ad altre canzoni. Ora, non sono qui per fare un'apologia della loro carriera o delle loro canzoni MA anche Quentin Tarantino riempie di citazioni i suoi film, eppure non è circondato da un astio così feroce come la band in questione...

Comunque, fatta questa breve introduzione, veniamo all'album in questione: The Astonishing. The Astonishing è un album molto complesso. Lungo (siamo oltre le 2 ore) e difficile da ascoltare tutto d'un fiato, è una storia di speranza, amore, odio, rimorso, libertà. La storia è abbastanza semplice: siamo del 2285, un futuro distopico in cui l'America è divisa in due parti, il Great Northern Empire e la Ravenskill Militia. L'imperatore Nafaryus ha privato i sudditi dei piaceri della musica, sostituendola con delle macchine che producono rumori asettici e privi di qualsivoglia valore artistico, i Nomacs (Noise Machines). L'unica speranza di libertà si cela nel dono di Gabriel, fratello di Arhys, il comandante dei ribelli di Ravenskill. Non voglio dilungarmi troppo sulla trama perchè, da una parte, chi l'ha già sentito la conosce già, mentre dall'altra, non voglio svelarla troppo per chi non ha ancora avuto il piacere di lasciarsi trasportare dalle note di quest'album. Basti sapere che John Petrucci, l'autore unico dei testi e della storia, si è ispirato ad alcune delle più importanti saghe fantasy e fantascientifiche, come Game of Thrones e Star Wars (sarò sincero con voi: non avendo in particolare simpatia nè il fantasy nè la fantascienza, questa è una nozione che ho appreso leggendo news e recensioni su internet).

Bisogna dire innanzitutto che questo non è un album come gli altri prodotti dai Dream Theater, dal punto di vista musicale: i tecnicismi sono ridotti al minimo, l'animo metal è stato parzialmente sostituito da quello più rock e melodico e il progressive viene accompagnato da sezioni che rasentano il symphonic. Quindi, tutti i loro detrattori, con questo album, hanno perso l'argomento principale dei loro attacchi alla band. Ops, scusate, devo essere oggettivo e non farmi prendere dal mio amore per questo gruppo.

E' inutile sottolineare quanto l'aspetto musicale sia perfettamente curato. Delle melodie sofisticate e, perchè no, a tratti molto semplici accompagnano in modo egregio lo svolgersi della storia senza mai risultare noiose. Sebbene molte di queste melodie vengano riprese nel corso delle 2 ore e passa di quest'album (come è ovvio e normale in qualsiasi concept album o opera, rock o no), non si ha mai la sensazione di dejà vu o di ripetitività: le canzoni in cui una stessa melodia è presente, restano comunque estremamente riconoscibili (il primo esempio che mi viene in mente è quello di "Brother, Can You Hear Me?", che presenta un tema che ritorna spesso, e la conclusiva title track "The Astonishing": nonostante che abbiano un inizio simile, è praticamente impossibile confondere l'una con l'altra). Le prove del quintetto sono tutte di altissimo livello. Non mi soffermerò sulle prestazioni di ognuno dei membri, anche perchè mi sembra inutile e noioso, ma mi limiterò a dire che un James LaBrie così in forma non lo sentivo da parecchio tempo: capace di usare la propria voce in modo da caratterizzare ognuno dei personaggi che interpreta, è il membro del gruppo che mi ha colpito maggiormente, soprattutto quando canta le parti della figlia di Nafaryus, Faythe (i latini dicevano: nomen omen), che si innamora di Gabriel, riuscendo a rendere la propria voce molto femminile (pur restando, ovviamente, maschile). Nonostante l'eccezionale prestazione del canadese, personalmente non mi sarebbe dispiaciuto avere un cantante diverso per ogni personaggio, seguendo la lezione del progetto olandese Ayreon. In questo modo, la caratterizzazione dei personaggi sarebbe stata ancora migliore ed il risultato finale un vero e proprio capolavoro. Invece dovremo accontentarsi di un quasi-capolavoro. Menzione speciale meritano gli intermezzi strumentali dei Nomacs, brevissimi brani della durata non superiore al minuto, che hanno il pregio di ricreare l'atmosfera che Petrucci aveva in mente, rendendo l'ascolto estremamente immersivo. Riguardo queste "canzoni" (che tutto sono men che canzoni), ho letto pareri discordi: alcuni le hanno apprezzate, altri no. Secondo me, per l'esito finale dell'album, sono di importanza fondamentale. Spesso i ritornelli delle canzoni sono molto orecchiabili, al limite del pop (qualcuno ha detto "Chosen"?), ma non è da intendersi, nel caso specifico di questo album, in senso negativo: considerando la durata eccezionale dell'opera proposta, sono indispensabili dei ritornelli facili da memorizzare, visto che su 34 canzoni, 27 hanno un testo. Immaginate che macello sarebbe stato se tutte queste 27 canzoni non avessero avuto ritornelli di facile memorizzazione e con melodie comuni!

Sebbene siano notevolmente ridotti rispetto agli album passati, anche questo The Astonishing presenta qualche tecnicismo, soprattutto affidato al leader del gruppo, Petrucci, che è capace di regalarci un assolo a dir poco pazzesco, a mio parere uno dei migliori dell'intera discografia theateriana, nella penultima canzone del primo atto, "A New Beginning". E, vi assicuro, vederlo suonare live al Teatro degli Arcimboldi, durante quell'assolo, è una delle gioie più grandi che la vita mi abbia donato.

Credo che forse sia giunto il momento di tirare le somme, per non rendere questa recensione noiosa e troppo lunga. Questo non è un album facile da assimilare, nonostante che possa sembrare uno dei più "commerciali" della band: è necessario ben più di un ascolto per riuscire a cogliere la vera essenza di questo magum opus theateriano e, soprattutto, l'ascolto deve essere accompagnato dalla lettura dei testi. Senza conoscere i testi, in fin dei conti, potrebbe risultare un album poco più che buono. Personalmente, lo inserirei tra le posizioni più alte di un'ipotetica classifica degli album dei Dream Theater. E' ai livelli dei già citati Images and Words e Metropolis pt. 2? Assolutamente no. Ma è sicuramente, insieme a Six Degrees of Inner Turbolence e (insultatemi pure) Octavarium, tra i loro migliori album degli anni 2000 e IL migliore dell'epoca post-Portnoy.

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