L'album del massacro. Così potremmo definire "Train Of Thought" settimo album in studio dei Dream Theater. Che i DT abbiano sempre avuto un sound aggressivo lo sapevamo già, altrimenti non si potrebbero definire metal. Ma mai come ora avevano avuto un sound così estremo. Con quest'album, invece, i cinque di Boston non ci pensano due volte e producono un album estremamente pesante e martellante... In grado quindi di far saltare in aria tutti! Progressive metal non è una definizione sufficiente per questo durissimo album. Mai come in qui emergono le influenze dei generi più estremi e oscuri del metal, un album con chiari riferimenti death metal e soprattutto thrash metal. Si notano una certa prevalenza della chitarra sulla tastiera e un approccio più virtuosistico che melodico negli assoli ma le influenze progressive della band si fanno comunque sentire in una buona misura.

Questo è forse l'album che più ha deluso i fan, soprattutto quelli tradizionalmente più progressisti per i motivi già descritti sopra. Ma fidatevi, io non sono uno di quelli e ritengo che questo "Train Of Thought" seppur non sia il meglio che abbiano mai fatto è comunque un ottimo disco che dagli altri si differenzia essenzialmente per l'asprezza dei suoi suoni.

Ancora una volta emergono trucchetti numerici: settimo album e sette canzoni e la prima traccia comincia con il riverbero che concludeva "Six Degrees Of Inner Turbulence".

"As I Am" è puro thrash metal in perfetto stile Metallica: chitarra pesante, tastiere quasi inesistenti, e anche un grandissimo assolo di Petrucci. Più frenetica la n° 2 "This Dying Soul", secondo capitolo della saga Alcolisti Anonimi: chitarre in chiaro stile Slipknot, tastiere molto elettroniche e anche una ripresa di "The Glss Prison" nella parte centrale; bellissimo il finale: prima grande solo di tastiera di Jordan Rudess, bel solista di Perucci in chiara chiave death e splendido unisono chitarra-tastiera finale. Più sperimentale ma sempre molto heavy la n° 3 "Endless Sacrifice": primi 4/5 minuti caratterizzati da strofe lente e psichedeliche che si alternano a ritornelli in perfetto stile Limp Bizkit, poi si entra in una parte strumentale in chiaro stile thrash caratterizzata da pesanti chitarre ma anche da grandi assoli e unisoni di Petrucci e Rudess (in mezzo c'è anche spazio per una musichetta in chiaro stile cartoon), per poi ritornare su uno stile nuovamente nu-metal nel finale. Ma il massacro più totale arriva con la n° 4 "Honor Thy Father" dove le chitarre arrivano ad un suono così estremo da spaccarvi le orecchie; Rudess comunque trova il suo spazio con un lungo solista nella parte centrale e un altro solista però più confusionario prima dell'ultimo ritornello; forse un po' troppo ripetitivo il finale. Unico punto di flesso del disco è la n° 5 "Vacant"; da notare come anche nell'album più duro che potessero realizzare i DT non hanno voluto rinunciare al momento lento: neanche tre minuti di basso, piano e violoncello per riposare un po' le orecchie; ma si tratta anch'essa di una ballata molto cupa e, quindi, in sintona con il resto dell'album. Il brano forse meno contestato dell'album è però la lunga strumentale "Stream Of Consciousness" che pur non rinunciando a riff distorti dà maggior spazio alla sperimentazione e alle melodie di Jordan Rudess, che qui può davvero esprimersi al massimo delle sue possibilità. E si chiude con l'oscura e cupa "In The Name of God": 14 minuti che alternano riff molto heavy a melodie di piano e sperimentazioni elettroniche: nella parte strumentale grandissimo unisono chitarra-tastiera ben accompagnati dal basso, uno dei punti più alti del disco; anche qui, forse, il finale è troppo ripetitivo ma si conclude con una bella melodia col piano.

Finisce così l'album del massacro... massacro in positivo, però. Un disco suonato veramente con molta determinazione, non ne vedo il motivo affatto il motivo di criticarlo.

Carico i commenti...  con calma