C'è un solo aggettivo per definire questo disco degli americani Dredg, "Catch Without Arms", ed è SORPRENDENTE. Non ci sono altri modi per descrivere la solarità, la vivacità, l'entusiasmo, l'adrenalina e l'accattivante energia sprigionate da questo loro ultimo lavoro datato 2005.
Molti sono i momenti salienti di questo disco. Sin dalla prima traccia "Ode To The Sun" si viene subito colpiti in pieno viso da bordate elettriche che sostengono un ritmo dannatamente coinvolgente e impetuoso, fatto di chitarre taglienti ed emozionanti, continui saliscendi di intensità e una voce, quella di Gavin Hayes, di una presenza e intensità mostruose, che ti prende, ti abbraccia e ti porta con sé fino al punto più alto in cielo, dove i caldi raggi ti circondano e sotto di te regna l'azzurro e il sereno.
Il bello della maggior parte delle canzoni contenute è che si tratta di pezzi orecchiabilissimi, quasi radiofonici per come sono facilmente assimilabili, eppure dotati di una profondità inaspettata e eccelsa. A questo riguardo si prenda la title-track. Animata da una dolce malinconica chitarra che tratteggia il riff portante, la traccia si sviluppa attraverso brevissime parentesi più heavy e cresce in intensità emotiva variando più volte in forma e tempo. Ascoltandola vengono alla mente tantissimi nomi: dai Mars Volta meno celebrali e più emotivi agli At The Drive In, con certe diramazioni tooliane, echi settantiani, emo di ottima qualità e tanto altro ancora.
Momenti più riflessivi (come in "Zebraskin") si alternano piacevolmente a altri più energici, costituendo un gioco di contrasti che tiene sempre desto e vigile l'ascoltatore. E' un effetto di chiaroscuro che percepiamo benissimo nel passaggio tra la citata "Zebraskin" e "The Tanbark Is Hot Lava" con la sua sezione ritmica sincopata e ipnoticamente schizoide, e una voce che spazia qui su livelli finora mai sentiti nel disco, fino a uno screaming nella parte centrale . Una traccia veramente emozionante e coinvolgente, di sicuro una delle più belle.
A proposito della voce, "Sang Real" è probabilmente il pezzo dove l'operato di Hayes si fa maggiormente sentito a livello emozionale. La canzone, costruita su un registro nuovamente malinconico, è animata da un bellissimo pianoforte le cui note, lievi e lineari, sembrano gocce di pioggia che cadono su un terreno coperto da un fitto strato di neve: dove cadono lasciano un segno, un marchio perfetto che, assieme a tutti gli altri, costituisce un disegno armonioso che va a sciogliere il candido gelo.
"Jamais Vu" è, a mio avviso, uno dei brani più belli di tutto il lotto. Imperniata interamente su un dolcissimo arpeggio di chitarra in lento e inesorabile crescendo, la canzone è una gemma sotto tutti i punti di vista. Il cantante tocca qui con la sua voce vette intensissime, basso - batteria sono due cuori che battono all'unisono e le chitarre, qui particolarmente belle e convincenti, dipingono con abilità un cielo stellato blu scuro dalle tinte a tratti più fosche tipiche dei Sigur Ròs più emozionanti.
Concluderei il tutto con "Matroshka", una tenue nenia che sa di arrivederci. Aperta dalle solari sei corde (qui quasi "à la U2"), la canzone ti lascia a bocca aperta, tanta è la carica emotiva e la classe messa in gioco dal gruppo. Il ritornello è un bacio agrodolce, un saluto a una data ancora sconosciuta, che sicuramente però verrà. Sapete quando, dopo una di quelle lunghe gite al mare in macchina con gli amici, vi trovate a parlare, mezzi addormentati per la stanchezza, di vecchi aneddoti e di vicende accadute anni prima quando eravate in classe insieme? Le parole, i ricordi, si fanno bordati d'oro, lievi e nostalgici filamenti giocosi che, per magia, rivivono grazie alle battute dei tuoi amici. Uno di quei momenti in cui ti senti in pace con te stesso, pronto a riprendere in mano la tua vita con un piglio ancora maggiore.
Un disco, ripeto, straordinario e unico nella sua capacità di comunicare emozioni. Sicuramente un lavoro meritevole di un ascolto da parte di tutti, un piccolo capolavoro che, temo, sia passato un po' troppo inosservato, almeno qui da noi.
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