C'è qualcosa di molto vicino alla meraviglia nel vedere in carne e ossa, e in movimento, i propri miti dell'immaginario; il trionfo cinematografico di Harry Potter ne è l'ultima riprova. A livello ricettivo, probabilmente, l'immagine ci dà una soddisfazione provvisoria maggiore; ma è innegabile che il cinema contenga in seno quel che di "meraviglioso", di sorprendente. Credo che tutti, insomma, ci portiamo dentro il retaggio di chi è scappato dalla sala di proiezione perchè il treno puntava la platea...

Quando poi il fotogramma si rifà alla vignetta, il legame diventa famigliare, consanguinio, e la nostra meraviglia è accomodata dall'abitudine; nel fumetto l'immaginazione lega le immobilità del disegno nel divenire dell'azione, così come nel cinema raccordiamo i tempi e i punti di vista in un unico, grande continuum. Senza dimenticare che anche guardando un film "leghiamo" immagini immobili, per la precisione venticinque al secondo... Insomma, suddetta meraviglia riesce a farsi largo anche di fronte a una delle trasposizioni cinematografiche meno convincenti in cui personaggio dei fumetti sia mai incappato. Certo, siamo più in alto rispetto al "Satanik" di Vivarelli, tanto per citarne uno tra troppi, ma questo "Tex e il Signore degli Abissi" ci lascia comunque con una domanda, anzi due: "perchè?" e soprattutto "perchè in questo modo?".

Tratto dalla lunga e intricata vicenda raccontata da Gianluigi Bonelli nei numeri 101, 102 e 103 della serie regolare, questo film datato 1985 ha la doppia, smisurata ambizione di piacere agli amanti cartacei di Tex Willer come di cavalcare l'onda dei due supergiocattoli spielberghiani dedicati all'archeologo Indiana Jones (lo splendido "I predatori dell'arca perduta" del 1981 e, tre anni dopo, il suo divertente prequel "Indiana Jones e il tempio maledetto").  Alla luce di questa  concomitanza con i templi e i sacrifici umani hollywoodiani si legge meglio la scelta della produzione RAI di adattare per Tex una vicenda che, fin dalla sua origine vignettistica, presenta del western l'ambientazione, ma non l'anima; un gruppo di rivoltosi discendenti Aztechi si serve di terribili pietre mummificatrici per seminare morte tra gli usurpatori bianchi. In una caverna negli abissi, tra lava e pipistrelli, un misterioso essere incappucciato lavora senza sosta per estrarre dalle viscere la sinistra arma mortale. Nel frattempo, durante un'indagine su un traffico d'armi, Tex e i suoi compagni d'avventure vengono a conoscenza dei piani di rivolta dei nativi e si incaricano di far luce sulla vicenda, finendo per trovare l'infernale caverna. In Francia hanno decisamente esagerato, mettendo nella locandina del film un Tex armato di frusta (!), ma la cosa suona meritatamente irrisoria: Tex Willer è tutt'altra cosa rispetto a Indiana Jones, ma soprattutto è il budget della RAI a essere tutt'altra cosa rispetto a quello di Hollywood.

A dirigere questa uscita cinematografica del più longevo protagonista a fumetti della storia italiana viene chiamato un veterano dello spaghetti western, co-sceneggiatore, tra le altre cose, del mitico "Per un pugno di dollari" di Sergio Leone e creatore del cult Ringo: Duccio Tessari. Con lui, una squadra di sceneggiatori (troppi) intenti più a limare le difficoltà sceniche presenti nella storia originale (gli splendidi disegni di Letteri uniti alla fantasia strabordante di Gianluigi Bonelli avevano dato vita a situazioni e scenari tanto complesse quanto efficaci), che ad assicurare una coerenza interna al film. Eppure, nel goffo ridimensionamento del plot bonelliano, l'insieme funzionerebbe anche, tra un personaggio (in realtà più d'uno) mancante e un raccordo aggiunto; ci sono cose che su carta funzionano e su pellicola no. Tessari, da par suo, ci mette un senso dello spazio non comune tra i colleghi del western all'italiana e addirittura qualche azzardo registico, mentre le scenografie sono in fin dei conti riadattate alle possibilità della produzione in maniera intelligente. Quindi qualche vantaggio, il film, ce l'ha. Il problema è che le note negative sono, è il caso di dirlo, "abissali": il pathos è totalmente assente e il montaggio meccanico. A raccordare tra loro queste due mancanze c'è l'attore scelto a protagonista, il già Ringo (quindi, si potrebbe pensare, una certezza) Giuliano Gemma. Il nostro non sfonda lo schermo neanche a prenderlo a testate, annaspando in un'apatia cronica che nelle scene d'azione lo fa muovere a comando come un burattino e nei dialoghi gli fa dire "Sei un duro, eh, amigo!?" con la brillantezza d'un impiegato alle poste. Messo nei panni d'uno dei personaggi più convincenti e carismatici della nostra cultura popolare lascia quantomeno una scia d'imbarazzo, nonostante l'indubbio impegno.

Per concludere, una considerazione sugli effetti speciali. Lucas non era certo a portata di mano, ma stavolta anche la geniale artigianalità della scuola horror italiana cade sotto i colpi del "troppo finto" e si inaridisce come i cadaveri mummificati del film.

Insomma, continuiamo a voler bene a Tex Willer, ma a quello disegnato (il quale sicuramente batterebbe Gemma in duello, e ci spiacerebbe perchè bene ne vogliamo anche a lui); ne vorremo sempre tanto anche al compianto Duccio, ma l'unico che ci fa la sua figura, in questo ingenuo pastrocchio, è Gianluigi Bonelli, vestito da sciamano come fosse carnevale nell'incipit del film, ma solenne e irresistibile nell'annunciare: "Dicono che venisse da Nord, come il vento gelido che spazza durante l'inverno le pianure della grande prateria". Tex Willer... Anche questa è meraviglia.

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