Underground andato a male, putrefazione assente, ombre nell'oscurità, patologico perenne, concréte ammuffito, rovescio della medaglia di aria fritta, voltastomaco da nausea dell'eternità, stonature celestiali, barbonismo animico.
Mancare il bersaglio apposta, sempre. Raccontare i reconditi anfratti delle tue catacombe, abbronzarli con spruzzate di bastardaggine millenaria.
Non si narrano storie davanti al fuoco, sul rogo si bruciano sensi di colpa che non ci appartenevano. Si dà voce ai rumori, alle voci dell'invisibile che ci circonda dove la folgorazione di una luce bianca sparata non inquadra con la puzza di piedi che si sente nell'aria: "quello che sta sotto sta sopra" e viceversa, d'altronde.
Quando finalmente risolveremo che non necessariamente la bellezza è associata con un bel visino, ma può manifestarsi nauseabonda, potremo anche noi arrabattarci a mettere su un Greatest Hits dei nostri luoghi oscuri.
'Sta roba fatta tra il 1977 e il 1981, prima del post-punk californiano...
L'estate è tutt'altro che vacanza, RA illumina tutti gli angoli. L'estate tira fuori verità che l'inverno rallenta. I colpi di sole, i raptus, gli ictus, appartengono alla "bella" stagione. Le insolazioni, le tintarelle ustionanti fanno partire stati di delirio che il deserto di John Black Sahara, Martin Klingac, Vit Fikious J.H. conoscono nel suo riverberare un daccapo continuo.
La tomba dove i cecoslovacchi ci indirizzano è senza sottotitoli.
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