Ascoltando questo lp di debutto del gruppo vicentino capitanato da Nicola Cerantola, tutto si pensa tranne che il citato arrivi direttamente dal Bel Paese. Piuttosto penseresti di avere davanti qualche affermata band post-hardcore/emocore/metalcore della scena d'oltreoceano da affiancare a nomi quali Underoath e From Autumn To Ashes, con cui comunque condividono l'approccio musicale e una forte dose di aggressività.
"Atlantic" (2006) può dunque essere considerato a tutti gli effetti come un prodotto di respiro internazionale che con 11 pezzi (+ ghost track finale stile colonna sonora) cerca di accontentare pubblico nostrano e share anglofono alternando pezzi cantati in Italiano al canonico e più rassicurante inglese.
Se i Dufresne non sono gli unici intepreti in Italia di questo genere, va detto che difficilmente abbiamo visto realtà musicali nostrane cimentarsi con la nostra lingua, e Airway e Hopes Die Last ne sono esempi agli antipodi.
Probabilmente è la prima volta che mi capita di sentire canzoni simili cantate nella nostra lingua, e devo dire che l'effetto finale non è davvero niente male. Anzi l'Italiano tende a valorizzare quella mistura di sofferenza e rabbia, che i Dufresne esprimono bene.
Ad esempio di quanto affermato si prendano l'iniziale "Nexiest luces" con una notevole carica emotiva, la più melodica ma non scontata "Baba yaga" e la massiccia "Opera" con la sua carica hardcore nel dna, ma anche "Un lungo sacrificio" ben fatta nella sua struttura vivace e "Siamo tutti illusi di essere nel giusto" in cui emergono forti contrasti tra strofe pesanti e ritornelli malinconici e lenti, prima che una coda elettronica anticipi l'esplosione e il frastuono finale.
Alcuni pezzi oltre al classico schema chitarre-basso-batteria vengono arrichite da interessanti spunti elettronici a cura di Alessandro Costa che aggiungono qualità: "Readymade complaints" e "Fashion kills romance" che rappresenta l'animo più metal del quartetto con le sue partiture cadenzate e pesanti ne sono esempi vividi.
Tra gli altri pezzi in inglese da segnalare l'ottima "Root is a flower that disdain fame" tra le migliori in assoluto con i suoi beat elettronici che fanno da sottofondo a un refrain gustoso e immediato, "Under pressure... You retract!" e la finale e articolata "A words that rimes with shame".
La nota più positiva di questo debutto è senza dubbio la voglia di non risultare banali, e nonostante siano presenti le parte in clean vocals tipiche del genere, tutto non viene rovinato da vocine sterili e melense sempre più spesso stereotipi del genere.
Altro dato da rilevare, a dispetto di tante produzioni simili, è il fatto che i ritmi non vengono mai abbassati con insipide ballate o pezzi buoni per passaggi radiofonici. L'impianto simil hardcore e le parti urlate rimangono in ogni pezzo sempre in primo piano e questo unito a strutture musicali cangianti, in continuo mutare e per niente statiche, rendono il prodotto vivace, non facilmente easy-listening e anzi abbastanza fresco all'orecchio.
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