L'anno è il 1971.
Non un anno facile, per nessuno. Anno di svolte, di cambiamenti. Anno di casini. Di capelli lunghi, barbe incolte, pantaloni a zampa d'elefante. Di lotte, di sangue, di violenza.
L'anno è il 1971.
E non ti aspetti di trovarci - in quell'anno lì - uno come Duke Ellington. Perché, non lo so voi, ma quello che a me fa impazzire, del jazz (o almeno una delle cose che mi fanno impazzire) è questo suo fregarsene della cronologia. Questo suo re-inventarsi il tempo.
Nel 1971 Miles, spiazzato dalla morte di Jimi, ha già pubblicato Bitches Brew. Pensa ai (almeno per me) capolavori On the corner e Jack Johnson. Si aggira per i palchi, con la sua tromba elettrica, i suoi vestiti da pagliaccio, di spalle al pubblico. Free Jazz, con il suo sassofono di plastica, le sue due orchestre sparpagliate nei due canali, nelle due orecchie, è già realtà da dieci anni almeno. E lo è per tutti. Per Mingus, che come al solito se ne frega di quello che succede attorno a lui. Lui, l'urlo primordiale, la radice, la voce della terra, lui la canta e la suona, e da sempre. Coltrane se ne è già andato. Ha già scritto, ha già suonato la sua terra. Lo ha fatto parecchi anni prima, in un pezzo magari poco conosciuto, ma per me meraviglioso, che si chiama kulu se mama.
Cosa cavolo ci fa Duke Ellington in quell'anno lì? Lui è precedente. Lui è il jazz classico. È - più di ogni cosa - per me almeno, un sorriso. Non un sorriso stupido. Non lo sarà mai. Non il sorriso di chi è allegro per nulla. No, il Duca vive la realtà. Però ci trova sempre dentro qualcosa. Lo swing, come dirà lui, qualcosa che a parole non si può dire. Qualcosa che non si può dire ma che lo rende inconfondibile. Passerà la vita, la sua lunga vita, a regalarcelo. A regalarci questo suo sorriso, questa sua grazia, mai banale, mai stupida. Suonando con tutti, componendo, facendo girare la sua orchestra, la sua anima, la sua voce. Contagiando, con il suo sorriso, tutti quanti. Credo abbiate in mente il suo disco con Coltrane. Che già - la prima volta che lo vidi - mi fece impressione. Ma come cavolo fanno due così a suonare insieme? Fanno.
Come se il Duca ci riuscisse, anche lì, a prendere per mano un'anima certo travagliata, come quella di Trane, e dirgli ok, tranquillo, facciamo, facciamo che esce quello che sei. E che forse nemmeno sai di essere.
Nel 1971 il Duca ha 72 anni. Età in cui forse persino noi riusciremo a goderci la pensione. Età in cui certo ha avuto successi, soldi, fama. E potrebbe andarsene in Florida, come fanno gli americani. A pensare a tutto quello che ha fatto. A godersela. Quello che gli resta.
Invece no. Invece pubblica un disco. O cerca di pubblicarlo. Perché persino a uno come lui gli dicono di no. No, troppo difficile. Il disco si chiama The Afro Eurasian Eclipse. Alla fine riuscirà. Combatterà, e avrà la meglio. È il suo ultimo capolavoro. Ed è difficile non inserirlo nella categoria free jazz. Ed è difficile, ascoltandolo, non pensare alle radici.
A un uomo che, a 72 anni, ha voglia di dire, sommessamente, senza alzare la voce, la sua. Senza strafare, senza smettere di sorridere. Senza rinnegare il suo stile. Come a prenderti per mano. E a dirti - sorridendo - ciao, è il 1971, è un anno difficile, è musica difficile. Sono qua, e ti aiuto. Ti aiuto a capire...
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