Capita spesso che una band o un artista vengano identificati nell’immaginario collettivo grazie alla loro opera più rappresentativa. Si tratta di un’associazione mentale quasi spontanea, ma che altrettanto spesso porta a trascurare gli altri tasselli degni di nota che compongono il mosaico di una carriera. Dall’estate del 1982 i Duran Duran hanno dovuto fare i conti con un ingombrante capolavoro di perfezione come “Rio”, vera croce e delizia per la band di Le Bon. Ma tutti coloro che hanno amato “Rio” fin dalla prima nota del basso di John Taylor dovrebbero ascoltarsi anche questo “Duran Duran”, l’album d’esordio dei cinque di Birmingham datato 1981.

A differenza del celeberrimo secondo capitolo della band “Duran Duran” è un album dall’ascolto meno immediato, dalle sonorità più oscure e dai testi più enigmatici; ma è proprio per questo che racchiude in sè tutto il fascino del diamante grezzo, che una volta trattato e rifinito darà luce, un anno dopo, al fresco e scintillante “Rio”, che ne è quindi suo discendente diretto. In questo primo lavoro self-titled troviamo infatti già tutte le caratteristiche del sound che ha fatto grandi i Duran: la voce istrionica di Le Bon si muove sulle trascinanti linee di basso di John Taylor (vera colonna portante dei pezzi dei Duran) e sulle ricercate atmosfere delle tastiere di Rhodes; il tutto sigillato sullo sfondo dalla solida batteria di Roger Taylor e dai ricami chitarristici del terzo Taylor, Andy. Il disco si apre con i primi grandi classici che hanno lanciato i Duran, “Girls On Film” e “Planeth Earth” (che non scadono mai nella banalità di semplici pezzi pop) cui fanno da contorno altri episodi dal tono più cupo e decadente, come la nostalgica “Anyone Out There” o la minacciosa “Careless Memories” con il suo ritmo incalzante. “Is There Something I Should Know” fa tornare per un attimo al pop più piacevole ed orecchiabile, aprendoci strada verso la seconda parte del disco, decisamente più sperimentale e intraprendente. Ci imbattiamo perciò nell’ipnotica “Friends Of Mine”, nell’acerba Sound Of Thunder (forse il pezzo meno riuscito dell’album) e nella tenebrosa “Night Boat”, splendida cavalcata che sembra perdersi verso lidi ignoti e misteriosi. Il disco si conclude con “Tel Aviv”, uno strumentale in cui le linee melodiche orientaleggianti di chitarra e tastiere si intrecciano con la sezione ritmica di basso e batteria, conferendo al pezzo un carattere esotico ed onirico e sfumando in conclusione verso quello che sarà il successivo capitolo della saga dei ragazzi di Birmingham.

“Duran Duran” fu registrato nel mese di dicembre del 1980, e lo stesso gruppo nelle interviste successive ricordò lo sforzo emotivo richiesto per completare le registrazioni dopo l’improvvisa notizia dell’assassinio di John Lennon (8 dicembre), che rese più grigio e freddo quel triste inverno 1980. In primavera però l’album era ormai finito e i Duran erano in rampa di lancio: pubblicato il 15 giugno 1981 “Duran Duran” raggiunse la posizione n.3 in patria, restando in classifica per 117 settimane e forgiandosi del disco di platino: per Le Bon e i suoi compari si erano aperte le porte del successo che di lì a poco li avrebbe travolti anche oltreoceano.

Che dire di più? “Duran Duran” è sicuramente un album di qualità con molti spunti di interesse, forse per certi aspetti anche migliore di “Rio”: per la sua energia, per le sue atmosfere un po’ sinistre e nevrotiche e per i suoi ottimi pezzi, che non perdono mai d’intensità. Un disco fondamentale e imprescindibile per tutti gli amanti dei Duran e della pop music anni ’80.

P.S. Un’ultima nota (nostalgica) per la copertina: semplice sfondo bianco, il nome del gruppo in una scritta rossa che ricorda quelle dei cartoni animati, e la foto dei cinque in pose ammiccanti con capigliature e abiti più o meno improponibili tipici dell’inconfondibile moda dell'epoca. Altra musica, altro stile, altri tempi.

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