Tutti si domandano quale suono possa avere l'infinito. Forse è quello di una campana, forse è l'apocalisse che incombe con i suoi emissari, o meglio ancora è semplicemente una nota, una semplice goccia musicale che si perde nello spazio. Nell'atmosfera. In questo caso la goccia è questa band, che suona ciò che definirei Space Rock, o Post Rock strumentale. Definizione quantomai riduttiva e che non esprime del tutto l'immenso potenziale artistico dei suddetti musicisti.

Non è una cosa facile descrivere un'emozione, ed in particolar modo quelle che fanno parte di una sfera particolarmente intima, molto cara solo a chi sa a cosa sia collegata una determinata reazione. E' infatti sostanzialmente difficile lo stesso provocare emozioni nell'ascoltatore, che nella maggior parte dei casi, rischia di addormentarsi e di non apprezzare il suo lavoro. Questo rischio viene sostanzialmente scongiurato da questa band, che con una registrazione che rasenta lo scadente (il suono sembra molto raschiato) riesce però a trasmettere molto più di quanto una Major, con i suoi sofisticatissimi registratori non potrà fare mai. La voce dell'anima è difficile da risvegliare, e perciò ogni volta, ogni istante che riusciamo a risvegliarla vale la pena godersela, crogiolandosi nei propri sentimenti, prendendoli come umani, e chiaramente non vergognandosene, come fa la maggior parte di questa miserissima umanità che ci circonda. Doveroso è dunque un riferimento al titolo dell'album, che in italiano è tratucibile con un semplicissimo "Stratosfera". L'elevazione spirituale che ci causa l'ascolto di questo CD, equivale quasi ad un metafisico viaggio astrale, in cui i confini del proprio Io vengono meno, e la propria visione è particolarmente potenziata e tende a farci analizzare con estrema precisione una condizione spesso sottovalutata, quella di essere umano.

Eviterei il Track by Track, sia per l'elevato numero di canzoni presenti nel CD in questione, ovvero 17, sia perché chi ha detto che analizzare musica vuol dire analizzare pedissecuamente ogni singola nota di un brano? Preferisco sottolineare quelle che sono secondo me le perle del disco. In primis citerei "Heading for the door", ovvero la traccia numero 2.  La sua durata (3:08) è leggermente sulla media del CD, ma è indubbiamente nella sua struttura che colpisce. Se l'introduttiva "Moon age" aveva il compito di introdurci e di guidarci alla partenza, questa canzone è invece l'essenza stessa dei Duster. Canzone che, a parer mio, risulta particolarmente esplicativa del loro concetto di musica. Come avevo accennato non è una canzone particolarmente esplosiva, ma è semplicemente un pezzo orecchiabile sì, ma con quel quid in più, che è dato forse dalla voce che si sente in sottofondo o forse dalla semplicità incisiva delle note, che tralasciano gli orpelli per mirare al nudo e crudo, all'essenziale viaggio che Stratosphere ci vuole far compiere. Non meno bella è "Shadows of Planes", di breve durata e dall'enigmatico ed interessante titolo. Per concludere (mi sono dilungato fin troppo), la Triade di pareri che inserisco, metterei in evidenza "Reed to Hillsborough", che si caratterizza per la presenza di quello che chiamerei il main riff dell'album intero.

Per concludere la recensione, desidererei semplicemente esprimere questo. Non è necessario che un disco sia per forza duro o per forza "morbido". E' l'essenza della musica quella che conta, e i Duster, eterei e semplici, sono quel tipo di gruppo che non avrà mai importanza a livello mondiale, nè rivoluzionerà il mondo della musica. Ma la loro carriera non sarà inutile perché è il regalare emozioni il vero successo.

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