Lo spazio aperto che si staglia nell'immaginario di Dylan Carlson è un'autostrada contorta nel deserto, fatta di salite al cielo e discese all'inferno, senza sosta, eppure fermo da una vita, mutare con lentezza è ciò che riesce meglio alla creatura Earth, una creatura basata sull'infinito esteso oltre i (non)limiti che gli appartengono. E il monolite grigionero di Seattle torna in tutta la sua magnificenza, torna ed è cambiato, ancora, pian pianino, muta. Mentre cammina incorpora una novità, la violoncellista Lori Goldston (la signorina in questione ha accompagnato anche mr. David Byrne, per dire) e non manca di farsi sentire da subito. Iniziamo il viaggio.
Prima uscita sull'asfalto rovente dell'autostrada Seattle/Paradiso: "Old Black". Il vecchio rock c'è, rimane punto imprescindibile, e si tramuta in una marcia inesorabile, lenta, angusta, contrappunti tex-mex qua e là, un accordo, non cambia, anzi, cambia con lentezza, arriva il violoncello sotto, e ammorbidisce un suono già vellutato, leggero, assolutamente non-drone, poi d'improvviso così come non è mai mutato il pezzo si tramuta, la chitarra si apre, il violoncello impazzisce, il ritmo è sempre a passo d'elefante, ma ora è a cielo aperto, guarda in alto e continua l'incedere fino a spegnersi in rumori bianchi.
Siamo arrivati alla prima sosta del viaggio, è mezzanotte a quanto pare, e l'invocazione di Carlson è diretta a "Father Midnight", country dronico, il violoncello è straziante, ma è il padrone di casa qui, a volte sembra fuori nota, fuori luogo mai, prende per mano la chitarra che gira e gira attorno alla stessa pietra per una quantità di tempo infinita, ma anche qui la svolta è dietro un lunghissimo angolo, arriva una chitarra solista malinconica e decisa, spicca su tutto, fa rumore in silenzio e il cellocostruisce trame melodiche in uscita che fanno stare bene.
Il sole è alto nel cielo dopo un altro giorno di viaggio "Descent To The Zenith" è pura malinconia, il sole è grigio e lontano, la melodia di chitarra lo saluta, le percussioni sempre pesanti, sempre presenti, aiutano la chitarra a salire le scale della tristezza e della solitudine fino all'arrivo della melodia classica, ad aiutare nella risalita, fino a sciogliersi, a scomparire in accordi aperti.
Spira un vento caldo d'inverno, o inferno e siamo ad "Hell's Winter", echi lontani di chitarra assaliti dalle vibranti corde del violoncello, questo pezzo è ostico, è più rugginoso degli altri, meno delicato, il reverse a volte sbuca da sotto la melodia, e poi compaiono degli squarci sonori all'orizzonte, provengono forse dal rullante, ma non è dato sapersi, qui tutto viaggia assieme senza mai dividersi.
"Angels Of Darkness, Demons Of Light I" è IL capolinea. Introduce all'arrivo un basso caldo, che sottomette l'archetto di Lori fino prepara all'entrata della chitarra a fare da contrappunto, e il cello sale d'intensità, sembrano feedback e non passaggi di uno strumento classico, e sullo sfondo si staglia una melodia Tooliana, che va e viene, è un arrivo sottovoce,in punta di piedi, la batteria entra piano dopo, non poteva mancare, il pezzo cresce d'intensità con una lentezza estenuante, per questo sembra non crescere mai, ci illude di una staticità che non c'è, fino alla fine, le luci si spengono, rimangono i drone, rimangono le inquietudini, in attesa di un nuovo viaggio, per ora ci fermiamo qui. In attesa.
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