Si guardavano negli occhi. Non c'era nulla di nobile, nulla di coraggioso. Semplicemente doveva essere così. Lo sapevano entrambi anche se per entrambi era la prima volta. Sapevano però che sarebbe accaduto. Uno di fronte all'altro, avevano imparato da tempo che la pallottola avrebbe portato con sé, lontano da loro, ogni rimorso ed ogni fitta allo stomaco. Erano pronti. Di fronte non c'era un uomo, solo un nemico. Questo lo avevano imparato bene. Carica l'arma, pronta la mano, attendevano il momento. Quel momento di immobile violenza nel quale tutto si ferma ed il colpo esplode. La consapevolezza di fare ciò che va fatto e la gioia di esserci ancora avrebbe poi permesso ad uno di loro, uno solo, di sopravvivere al rimorso. La sospensione di ogni giudizio di fronte alla morte o alla vita. Mai come in questo caso il punto di vista è fondamentale.

I grandi uomini stanno lontano dalle pistole. I piccoli uomini credono di non saperlo ed inseguono se stessi, armati e pericolosi. E non c'è scampo. Quel momento deve arrivare. Il nemico di fronte, uguale ma così diverso e distante da dover essere cancellato. Sradicato dalla terra che per tanti anni ha calpestato da un proiettile che oggi porta il suo nome. Destino, forse. Idiozia in gran parte. Dell'umanità qualche eco lontano non fa che ricordare quanto da essa sia semplice allontanarsi. E una volta lì, lontani, com'è facile perdersi. La mano che già sfiora il calcio. Lucida bestialità. L'attimo in cui la mente fugge dal corpo e l'eternità si fissa nell'istante. Non importa chi ha sparato per primo. Nessun colpo esploderà mai. Due uomini sull'orlo della loro umanità. Immobili. Prigionieri del fatto che nulla accadrà mai perché nulla è mai accaduto.

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Di  Moonchild

 Voglio arrivare a 50 anni con la panza, riguardarmi il passato e dire “Minchia, che festa che ho fatto, ma che coglione son stato”.

 Son cresciuti e io con loro, senza chiedere niente al creatore, senza desideri di vita eterna o sogni irrealizzabili.