"The funk, the whole funk and nothing but the funk"
Avete presente "Maggot brain"? Beh, la storia è ormai nota: Mr. Clinton, padre-padrone dei P-Funk, ordinò al suo giovane chitarrista di suonare "come se tua madre fosse morta". And he did. Cazzo, se lo ha fatto. Roba da entrare nei libri di storia per la porta principale.
Ma George era (è) un figlio di puttana: sapeva di toccare un tasto delicato, parlando al suo uomo di quella madre che lo aveva fatto scappare dal ghetto per allontanarlo dalla droga, salvo poi trovare rifugio in un altro ghetto, e salvo poi finire, ad appena 17 anni (!) a far parte dei Funkadelic, un gruppo di pazzi veramente fuori di testa, per i quali farsi (farsi di tutto, ero, LSD, cocaina ecc. ) era come cruciverbare sotto l'ombrellone.
Eddie Hazel, geniaccio della sei corde, non sarebbe mai più riemerso da 'Maggot Brain'. Una storia come tante: la droga diventa il suo unico interesse, diventa violento, non riesce nemmeno più ad imbracciare la chitarra, finisce a fare il session-man per i Tempations, aggredisce una hostess. Tornerà tempo dopo sul luogo del delitto, tra quei Funkadelic che gli avevano dato fama e l'appellativo di "unico erede possibile a Jimi Hendrix": ma ormai non è più la prima donna della chitarra, è già stato sostituito da un altro ragazzino diciassettenne, dopo che questo è riuscito a riprodurre nota per nota 'Maggot Brain'.
Shit.
Ma il colpo di coda è in arrivo. George Clinton gli regala un pugno di brani dal tiro tipicamente Funkadelico (you know, quel misto di bassi che sembrano voler uscire dalle casse, groove e psichedelica anni '60) e lo invia in sala di registrazione. Il risultato? Non lo caga nessuno, ma l'album diventa in breve tempo una tra le rarità più ricercate tra i collezionisti, e soprattutto viene considerato come uno dei migliori esempi di P-Funk.
Parliamoci chiaro: "Games, dames and guitar thangs" è un album sconnesso, incompiuto, prolisso ed autocelebrativo. Ma ha un tiro pazzesco: le due cover, "California dreamin'" e la beatlesiana "I want you (she's so heavy)" sono un'esperienza, la prima quantomeno per quell'intro da brivido chitarristico di altri tempi, la seconda per come viene plasmata, asservita alle esigenze del nostro, ed un pezzo di chiara fattura psichedelica rivela la sua negritudine, mentre Hazel sciorina tutto il suo repertorio dalle peculiari caratteristiche ritmiche, insomma lui fa il solo, ma detta anche il ritmo del pezzo. Il resto non è nient'altro che puro funk all'ennesima potenza, come "What about it", batteria secchissima e baso slappato e slabbrato a far da cornice per gli orgasmi del nostro, prendere o lasciare (io ovviamente consiglio di prendere).
Eddie Hazel dopo quest'album farà giusto qualche altra comparsata, salvo poi morire ad appena quarant'anni di emorragia interna. Di lui resta il rimpianto per ciò che avrebbe potuto fare e quest'album, dedicato ai maniaci della sei corde e ai funketeers senza speranza (vedi ZiOn).
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