A mollo in una pioggia triste e mattiniera, fustigati dalle intemperanze di una primavera che ancora non ne vuol sapere di concedere le sue grazie, gli automobilisti che si recano al lavoro in una delle tante zone industriali dell'operoso e uniforme nordest, assistono da qualche giorno ad uno spettacolo inedito: un loro collega automobilista che, solo alla guida, si agita e si contorce come in preda al ballo di San Vito, trasformando volante e cruscotto in improvvisate ed improbabili congas, divenendo di fatto un pericolo per sé e per gli altri.
I tapini forse sarebbero più clementi nel giudicare il sottoscritto, se potessero ascoltare anche loro la musica che proviene dal CD sull'autoradio: "Palmas" del pianista Eddie Palmieri, leggenda vivente del Latin Jazz.
Non lasciatevi trarre in inganno dall'aria gioviale dell'azzimato signore in copertina. Eddie Palmieri è in realtà uno dei più famigerati massacratori di tastiere in circolazione, in gioventù cacciato da più di una band, semplicemente perché "suonava troppo forte", e perciò soprannominato rompeteclas (spaccatasti).
Nato a New York da genitori portoricani, titolare di un'orchestra fin da giovanissimo, Palmieri non si accontentava di replicare i cliché salseri più in voga del momento, ma, forte del suo amore per il Jazz, cercava di espandere il linguaggio della musica latina in altre direzioni. La sua storica orchestra La Perfecta fu la prima ad introdurre trombe e tromboni nella musica afrocubana (che tradizionalmente si appoggiava a flauti e violini) donando così un sound più jazzato all'insieme. Nel corso della sua oltre cinquantennale carriera, il pianista ha scritto pagine memorabili sia nel campo della Salsa, che del Latin Jazz, collaborando con personaggi del calibro di Tito Puente e Phil Woods, sviluppando un sound a metà strada tra i due mondi e riuscendo a coniugare istanze artistiche e successo di pubblico, dal momento che il nostro è vincitore di ben nove Grammy Awards. Altro che rompeteclas, al giorno d'oggi i soprannomi sono ben più lusinghieri: "Il Miles Davis della Salsa", "Il Mozart della Musica Latina".
Questo disco del 1994 (assieme al successivo "Arete") è forse il più riuscito tentativo di Eddie Palmieri di accostare dell'ottima Salsa a dell'altrettanto eccellente Jazz. L'orchestra scarica sull'ascoltatore tonnellate di pura energia, ma Palmieri riesce sempre ad infilare il tocco di classe, con complesse e raffinate evoluzioni armoniche che elevano la musica dal semplice ruolo di accompagnamento al ballo: ascoltate il tema quasi mediorientale di "Mare Nostrum", o l'andamento seducente di "Doctor Duck", che non sarebbe dispiaciuta a Dizzy Gillespie.
Ad aggiungere benzina sul fuoco ci pensano gli scoppiettanti solisti - Brian Lynch tromba, Donald Harrison sax, Conrad Herwig trombone: mica i primi che passano per strada - che sembrano divertirsi un mondo ad improvvisare sull'inesorabile montuno scandito dal pianista, scatenando anche duelli al calor bianco, come accade tra tromba e sassofono nel conclusivo "Bouncer".
Spesso e volentieri, come è sua abitudine, Eddie usa il pianoforte come un cannone per sparare bordate di note a tutto spiano ("You Dig"); ma è anche capace di stupire per fantasia e profonda conoscenza del suo strumento, come rivela l'introduzione in solitudine di "Bolero Dos", in bilico tra jazz e avanguardia.
In definitiva Palmieri ci mostra come si fa a proporre musica sanguigna, di bruciante e squassante divertimento, senza necessariamente lasciare il cervello a casa.
L'orchestra suona da appena due minuti e già si suda. In corpo, già due bicchieri di ron di quello buono, e siamo solo all'inizio della serata... Provateci voi, a stare fermi.
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