“La ballata di Eddie Rosner”.

Una piccola storia che parla della Storia in questi giorni che quella stessa Storia ci sta rubando.

Non è breve ma, fidatevi di questo indegno cantastorie, qui c’è materiale per un Romanzo.

E c’è la Musica!

Non è breve, ma tanto che avete da fare in questi giorni? (Ah, avrete capito che non è esattamente una recensione, anche se un disco c’è a raccogliere quello che la Storia non ha portato via).

Intro

I francesi non lo ammetteranno mai e un po’ ancora gli rode il culo, ma a Berlino si suonava il miglior Jazz che si potesse ascoltare al di fuori degli States.

All’Hotel Adlon oltre ad assaggiare la più buona Pfannkuchensuppe di Berlino potevi assistere al miglior spettacolo musicale di tutta la Germania: quello dei Weintraubs Syncopators!

Stefan Weintrauben, il leader dell’orchestra, si accorse ben presto di quel ragazzotto polacco di origini ebraiche, ex bambino prodigio (aveva cominciato col violino a 6 anni ma, poi, aveva scoperto il Jazz), che rubava la scena tutte le sere.

Si chiamava Adolph Ignatievich Rosner, Ady per tutti, ed era una forza della natura!

Il suo numero con due trombe strappava sempre gli applausi del pubblico. E, poi, Ady aveva lo “swing”, nonostante fosse bianco, e reggeva la scena come pochi. Non era cosa da poco in un’orchestra come i Syncopators che faceva uno spettacolo pazzesco: scenette di cabaret, travestimenti (spesso suonavano con parrucche ed abiti femminili), sketch di ogni tipo….

Se ne accorse pure una giovanissima (e bellissima!) Marlene Dietrich che se li vide capitare sul set dell’”Angelo Azzurro” e ne rimase folgorata.

Ben presto i Syncopators divennero la band di Ady.

Take 1- Stormy Weather

Cosa stava facendo la mattina del 29 ottobre 1929 il nostro Eddie?

Di sicuro nulla gli avrebbe potuto far immaginare quale temporale stava per scoppiare dall’altra parte dell’Oceano. L’America era la patria della “sua” Musica, che diavolo ne sapeva – lui – di Wall Street, della borsa e di tutti i casini che, lì, si stavano combinando?

Però le nubi partite da Wall Street non ci misero molto ad arrivare anche su Berlino. E, ben presto, quella tempesta si portò via la Repubblica di Weimar e le sue feste.

La Storia era venuta a bussare, per la prima di una lunga serie di volte, alla porta di Eddie.

Ben presto la Germania cominciò a riempirsi di tizi che amavano il passo dell’oca e le marce militari ed odiavano il Jazz.

E gli ebrei.

Take 2- Don’t Trust A Man Who Can’t Dance

Goebbels era nato con un piede matto.

“Piede equino” lo chiamano i dottori, lui raccontava di essersi ferito in guerra. La verità è che in guerra non ci era mai potuto andare.

Sarà per questo che odiava ballare?

Certo odiava anche un sacco di altre cose: la dodecafonia, l’astrattismo, il simbolismo, l’impressionismo, gli omosessuali, i negri, i comunisti e tutti quegli altri “degenerati”.

E, soprattutto, odiava gli ebrei.

Goebbels si inventò questa storia della “musica degenerata”.

Così, dopo un po’, ai concerti dei Syncopators cominciarono a presentarsi, costantemente, numerosi gruppi di simpatiche camicie brune con una sana e robusta voglia di menare le mani.

Ben presto, comunque, non ci furono più concerti per i Syncopators.

“Non è un buon momento per suonare Jazz, nemmeno se ti chiami Adolf”, disse una volta Eddie che, nonostante tutto, riusciva ancora a sorridere sotto i baffi.

Take 3- Giant steps

Eddie è sveglio e capisce l’antifona. Se ne va in Polonia, forma una band e comincia a girare l’Europa: Danimarca, Francia, Italia, Finlandia.

Fu in uno di questi concerti che conobbe Louis Armstrong. Louis ne rimase talmente impressionato da lasciargli un biglietto: “from the white Armstrong to the black Rosner”.

Così nacque la leggenda del “Louis Armstrong bianco”.

Intanto, Eddie incide per le maggiori case discografiche dell’epoca, come l’Odeon e la Columbia. Ben presto è il musicista più pagato di Polonia. Si sposa con Ruth e continua a suonare. Convinto che la Storia lo lascerà in pace.

Take 4- Put Your Dreams Away (For Another Day)

Cosa stava facendo la mattina del 1° settembre 1939 il nostro Eddie?

Qualunque cosa stesse facendo, questa volta Eddie lo capì subito che la Storia era venuta a bussare – per la seconda volta – alla sua porta!

Aveva creduto di essere al sicuro, era convinto che nessuno sarebbe stato così stupido da bruciare l’Europa per quel buco di Danzica!

Sì li conosceva i nazisti: erano pericolosi ma non credeva sino a questo punto! Neanche sapeva chi erano Molotov e Von Ribbentrop.

Lui voleva solo suonare il suo Jazz.

Take 5- Wrap Your Troubles in Dreams

Restare in Polonia diventa pericoloso per un jazzista di origini ebraiche (lui che neanche se ne era mai accorto di essere ebreo!). Bisogna andar via.

Eddie potrebbe andarsene in America, lì sanno bene chi è. Lì ci sono Satchmo, Duke Ellington e tanti altri che lo conoscono.

Invece no. Eddie decide di andarsene in Unione Sovietica, anche se non conosce neanche una parola di russo! La Musica non è, forse, una lingua universale?

Non è una decisione strana: si faceva un gran Jazz in Unione Sovietica in quegli anni!

Non lo sapevate?

Take 6- Wherever I Lay My Hat Is My Home

Ha una data di nascita il Jazz nell’URSS: 2 ottobre 1922.

Quel giorno si tenne a Mosca un grande concerto di musica Jazz. I musicisti erano, perlopiù, dilettanti, ma quella musica conquistò subito tutti.

Era la musica delle minoranze afro-americane, fratelli oppressi. Quella musica sembrava anche un ottimo strumento di lotta politica.

In quegli anni, in Unione Sovietica, arriveranno le famose jazz band americane di Frank Witers e Sam Wooding. Il loro successo sarà strepitoso.

A Mosca ed a Leningrado nascono le prime orchestre Jazz e, oltre ai classici del repertorio americano, si possono ascoltare anche composizioni di autori russi.

Così Eddie, travestito da ufficiale della Wermacht, dopo un viaggio avventuroso con la sua Ruth, arriva in Bielorussia, a Byalistock, poi da lì a Lvov, dove per guadagnarsi da vivere accetta un ingaggio per il locale “La Bagatelle” per il quale mette su una sua orchestra.

Take 7- The Two Tsars

Pantelejmon Ponomarenko aveva un faccione bonario da contadino russo ma, non fatevi ingannare, era un vero osso duro. In più di un’occasione tenne testa a Berija e, durante la guerra, era stato capo del comando partigiano prima di diventare Primo Segretario del Partito Comunista Bielorusso.

Ponomarenko amava il jazz ed un giorno, per caso, capitò al “La Bagatelle”.

Quasi gli prese un colpo: quel tizio che suonava in quel buco di locale era un portento!

Pantelejmon non ci stette a pensare due volte: prese il nostro Eddie e lo incaricò di formare la prima orchestra di Stato della Repubblica della Bielorussia.

Pantelejemon ci aveva visto lungo.

Il successo fu enorme: Eddie ebbe fama e soldi, girò tutta la Russia, suonò per le truppe (correndo grandi rischi ma ottenendo guadagni e privilegi) e per il popolo. Nel 1945 suonò sulla Piazza Rossa davanti ad un pubblico oceanico.

Viveva in una casa con vista sul Cremlino e per tutti era “la tromba d’oro”.

Un giorno, Ponomarenko, gli fece una strana richiesta: lo portò in una sala da concerto completamente vuota e gli ordinò di suonare.

Eddie fece quello che gli era stato richiesto.

Solo dopo venne a saper che lì, tra le sedie vuote, nascosto nella penombra era venuto Stalin. Il nuovo Zar voleva ascoltare quel musicista fenomenale di cui aveva tanto sentito parlare.

La tromba d’oro, l’Armstrong bianco, lo Zar del Jazz.

Take 8- The Party’s Over

Cosa stava facendo il nostro Eddie, il 9 febbraio 1946?

Di certo non era al teatro Bolšcoj di Mosca ad ascoltare Stalin che rompeva, in un famoso discorso, definitivamente, i rapporti con l’Occidente e – ben presto – con tutto ciò che potrà apparire, ai suoi occhi, “filo-occidentale”.

Tipo il Jazz.

La Storia era tornata a bussare alla sua porta.

Take 9- Fruit Juice

Nei suoi ultimi anni, Zdanov, fu costretto da Stalin a bere solo succhi di frutta.

Josif lo aveva prescelto da tempo come suo successore ma, benché Andrej Aleksandrovič fosse di 18 anni più giovane, Josif temeva – e aveva ragione – che il troppo amore per la vodka del suo pupillo avrebbe potuto rovinare i suoi piani.

Zdanov odiava quello che lui chiamava “il Formalismo” e quel “cosmopolitismo” borghese che guardava ai modelli occidentali come qualcosa da imitare. Non ce l’aveva – ancora – col jazz ma con la musica di Muradeli e di quello Šostakovič, e di quelli come loro che abusavano della dissonanza, gente come Prokofiev, Chačaturjan e Klebanov.

In realtà a farlo davvero incazzare erano stati quella gallinaccia della Achmatova e quei poetucoli dei suoi amici acmeisti e, soprattutto, quel Michail Zoščenko, con la sua satira borghese e corruttrice.

Ora, il nostro Eddie, di sicuro non aveva letto “La storia di una scimmia” né aveva mai ascoltato la “Velikaja Družba”, né tantomeno era uno a cui piaceva “fare abuso di dissonanze” ma, aveva già provato sulla sua pelle che, se apri la porta alla censura, il vento che ne viene fuori – piano piano – spazza via tutto.

Take 10- Beat Me Daddy, Eight to the Bar

Eddie capisce ben presto che l’aria è cambiata e decide che è arrivato il momento di salutare il Paradiso del Proletariato.

La mattina del 27 novembre 1946 i Russi beccano Eddie mentre cerca di passare ad Ovest con la sua famiglia. Lo arrestano e se lo portano alla Lubjanka.

Eddie ci rimane sette mesi alla Lubjanka e non viene, di certo, trattato come un ospite di riguardo.

Lo torturano e gli fanno firmare una confessione fasulla a suon di botte. Eddie diventa un nemico del popolo e si becca una condanna di 10 anni. Lo spediscono a Chabarowsk, nella Siberia orientale e, poi, in un gulag a Magadan, sulle rive della Kolyma.

Take 11- I Wish I Knew How It Would Feel to Be Free

Eduard Petrovic Berzin, era il direttore del campo di Chabarowsk, lì giù a Magadan.

Eduard aveva studiato Belle arti, aveva velleità intellettuali e si ricordava di quello “zek”, sapeva chi era Eddie Rosnan: era la “tromba d’oro”, il “Louis Armstrong” bianco”!

Così, in quell’inferno di corpi smagriti e teste rasate Eddy trovò, ancora una volta, la sua strada grazie alla musica: Berzin chiese ad Eddie di formare una “Gulag Band” con la quale rallegrare le loro serate e fare spettacoli per i detenuti del campo.

A quegli uomini resi semiciechi dalla avitaminosi e che camminavano reggendosi l’uno all’altro, il regime pretendeva, infatti, anche di imporre il linguaggio della rieducazione. A ciò era preposta, in ogni lager, la “Kul’turno-Vospitatel’naja Cast’ del GULag”, cioè la Sezione educativo-culturale.

In quelle prigioni di ghiaccio potevi trovare una piccola biblioteca e un circolo dove si sarebbero dovuti svolgere i concerti, gli spettacoli teatrali, i dibattiti e le conferenze politiche, le gare di scacchi e anche le partite di calcio. E per quei detenuti, che fossero (o dicessero di essere) artisti, commedianti o musicisti o qualcosa del genere, tutto ciò equivaleva alla salvezza: turni di lavoro più brevi, vestiti speciali, la possibilità di dormire in baracche più curate e riscaldate.

Anche da “zek” Eddy Rosner ritrovò il successo e, a Magadan, anche un teatro vero in cui suonare. Lo aveva fatto costruire proprio Berzin nel 1933, convinto che l’Arte dovesse sopravvivere pure in quel deserto di neve.

Eddie trovò, ancora una volta, quello che – in un modo o in un altro – possiamo chiamare “successo” e trovò, persino l’amore. Un amore che aveva gli occhi ed il sorriso di Marina Bojko-Prokofieva.

Marina gli diede una seconda figlia ed Eddie scrisse per lei un sacco di musica.

Take 12- Someone to Watch Over Me

Il cuore di Iosif Vissarionovič Džugašvili, da tutti conosciuto come Stalin, cedette nella notte del 28 febbraio 1953, ma nessuno ebbe il coraggio di entrare a vedere cosa fosse successo fino alla sera del giorno dopo. Gli ci vollero almeno altri tre giorni per andarsene mentre, intorno a lui, si decideva il da farsi.

La notizia fu data il 5 marzo.

Così eccola la Storia, venire per l’ennesima volta a bussare alla porta di Eddie.

Le cose non cambiarono subito, ci volle circa un anno ma, nel ’54, Eddie ottenne l’amnistia e potè tornare a Mosca.

Intanto il compagno Chruščёv, cominciava a smantellare lo stalinismo e a cercare di scongelare la “Guerra Fredda”.

Nikita Sergeevič, non disdegnava i contatti con l’Occidente. Ed anche il Jazz tornò di moda.

Nacquero nuovi gruppi, vennero pubblicati libri e girati film dedicati a questo genere. Nel 1964 a Mosca venne creato anche il leggendario jazz club “The Blue Bird”. Nel paese vennero nuovamente accolti i musicisti stranieri. Arrivarono Jerry Mulligan e Thad Jones, Mel Lewis, Benny Goodman, Duke Ellington e tanti altri.

Take 13- Day by Day

E il nostro Eddie?

Ormai avete capito che tipo era! Non se ne stette con le mani in mano: formò un altro gruppo, l’ “Estraden Orchester” e trovò – per l’ennesima volta – il successo!

Riprese a fare spettacoli, lo chiamavano nei teatri, alla radio e pure in televisione. I grandi jazzisti americani si ricordavano di lui: Duke Ellington lo volle incontrare, pensò pure ad una qualche collaborazione; Benny Goodman lo accolse dietro le quinte.

Ma non era facile.

La polizia lo controllava. Non si fidavano di lui.

“Oggi suona il jazz, domani tradirà la Patria”, era un modo di dire che si sentiva sempre più spesso a Mosca.

Take 14- The Rhythm Of The Bones

“Muzika na rebrach”, “Musica delle costole” o “musica ossea”, era il nome in gergo dei dischi di jazz e del primo rock’n roll che circolavano clandestinamente tra i giovani russi.

Il vinile era un prodotto introvabile e, così, i tecnici del suono sovietici incidevano sulle radiografie mediche. Ancora oggi quei “dischi” sono ricercati oggetti da collezione.

Eddie ne incise a decine. Fu tra i primi a suonare rock’n roll oltre cortina. Oggi quei dischi sono tutti perduti, scomparsi chissà dove e chissà come.

Sì, perché il bel tempo durò poco e le cose tornarono velocemente a girare male per il povero Eddie.

Take 15- A Kiss to Build a Dream On

Leonìd Il'ìč Brèžnev, aveva una passione smisurata per le automobili, i potenti del mondo lo sapevano e non mancavano di donargliene sempre di nuove. Un giorno – sua madre – a cui stava mostrando, orgoglioso, le sue auto gli disse: “bello, sì. Ma se tornassero i bolscevichi?”.

Ora, non è che Leonìd, odiasse il Jazz, no, lui odiava tutto ciò che non era russo, e vedeva nelle mode filo-occidentali un segno di decadenza.

Soffocato dal nuovo clima di restaurazione, Eddie fu licenziato dal Teatro Ermitage, dove lavorava da anni, e trasferito a Gomel in Bielorussia, con la sua seconda moglie Galina. A Gomel diresse una piccola filarmonica di provincia.

Era stanco Eddie.

Adolf, Jack, Ady, Eddie Ignatevic, Edy Rozner, Zek, Mr. Smiling, Pinhas Ben Hzak, eccoli tutti i nomi con cui si era esibito in carriera. Quante vite aveva vissuto? Quante volte era salito in alto, caduto, ricaduto e poi salito di nuovo?

Era stanco Eddie.

Ora voleva tornare nella “sua” Germania. Lì da dove era partito, dove tutto era cominciato. Ma più chiedeva il visto per uscire, più si metteva in cattiva luce con le autorità.

Era diventato poco più che un vecchio rompiscatole e si stava facendo dei nemici. Nemici pericolosi.

Take 16- The September of My Years

Fu l’ambasciatore americano a Mosca che, finalmente, nel 1974 intervenne. Chissà forse, un tempo, da giovane, aveva ascoltato qualche pezzo di Eddie e di una delle sue orchestre?

E così Eddie tornò, finalmente, a Berlino.

Ma il governo russo trovò il modo di fargliela pagare: gli requisirono tutto, soldi, documenti, registrazioni, ricordi. Sui lui cadde la damnatio memoriae, il suo nome venne cancellato, la sua musica fatta sparire, i suoi dischi dati al macero, ogni documentazione su di lui cancellata.

E a Berlino non lo trattarono meglio: nessuno si ricordava di lui, nessuno era interessato alla sua musica.

Sono gli anni ’70, i giovani tedeschi sono presi da musiche strane, atonali, sperimentali, misteriose. L’unico Jazz accettato è il free più spinto. Alla radio si ascoltano gli echi di corrieri cosmici, lo chiamano “il rock dei krauti”.

Eddie non ha neanche i documenti necessari per ricevere una misera pensione; persino i tentativi di ottenere un risarcimento quale perseguitato dalle leggi razziali falliscono; non c'è nemmeno chi pensa a lui per un onesto revival o per una rivalutazione critica.

Va a vivere in un lurido appartamentino nella Bergfriedenstrasse, nel quartiere Berlin-Kreuzberg e ci muore, in totale solitudine l’8 agosto del 1976.

Outro

Si è continuato a suonare del buon jazz in Russia, ce n’è di buono persino oggi in quella grottesca imitazione di una Democrazia che è la Russia di Putin, ma se ne produceva di ottimo tra i ’60 ed i ’70.

E chiunque lo suonasse sapeva bene chi era stato Eddie Rosner.

Ora, per quanto si possa distruggere, per quanto la Storia possa portarsi via vite e memorie, è sempre impossibile far sparire tutto.

Qualcosa rimane sempre.

A Mosca la musica di Eddie viene ancora suonata, al Moscow Jazz Club, fondato da Alexey Bateshev, per esempio.

Ed anche noi qualcosa possiamo ancora ascoltarla.

In questo disco della serie “Soviet Jazz Legends”, per esempio.

Ne vale la pena. Per un sacco di motivi.

Ady Rosner (1910-1976) il più grande jazzista bianco di tutti i tempi. Anche se nessuno lo sa.

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