L'estate tramonta.

Ora che il cielo si fa blu e arancio gli indigeni trasportano canoe biposto dalla spiaggia al mare. I pesci questa notte saranno chiamati alle reti.

A ridosso delle palme, tra cocci di bottiglie di birra, parte lento e sommesso un giro di basso. Poco più avanti, dove i bambini corrono con bracciali di conchiglie alle caviglie, un appassionato lamento di chitarra si insinua fra i granelli si sabbia. Dal porto, dietro i promontori, i rumori dei barili di whiskey e rum, suonati come tamburi primordiali, scandiscono il tempo dei marinai. Pelle scura e  occhi chiari. Barbe incolte e maglioni sgualciti che si battono con i venti di giorno, e si inzuppano di alchool la sera.

L'estate tramonta e non ci è dato sapere su questa spiaggia che strumenti suonino Cloudland Canyon, la moglie Kelly Ulhorn, e il compagno di viaggio David Lovelace. Sappiamo invece che è gente che corre sulla sabbia, profuma di salsedine, e beve menta e rum, poco importa vengano da Memphis. Confezionano un disco a dir poco singolare. Tra folk e post rock, sitar e chitarre elettriche, ritmi tribali e vocalizzi eterei, il gruppo del Tennessee riesce a imprigionare con una naturalezza disarmante un tramonto ai caraibi.

Una trentina di minuti di pace e corallo. Se Ben Chasny andasse anche in spiaggia ogni tanto, invece che starsene sempre nei boschi, l'avrebbe suonato uguale.

Carico i commenti...  con calma