Lo strano, formidabile, originalissimo mondo di Mr. Edgar Wright. In quello che era uno dei film più attesi di questi ultimi mesi (almeno da me, molto di più, chessò, della nuova uscita nolaniana), il cinema del folletto inglese (recentemente anche in giuria a Venezia, e si vede) raggiunge nuove forme e nuovi vertici. Già da diverso tempo, Wright è uno dei più interessanti cineasti (post)moderni, perché cose come Shaun of the Dead o Scott Pilgrim restano memorabili gemme dell'ultimo decennio e oltre, e soprattutto mostrano un talento in movimento, con le proprie influenze come chiunque ma che non ha bisogno di essere derivativo di nessuno. Baby Driver era un progetto che covava da oltre vent'anni nella mente del regista originario del Sud Ovest del Regno di Sua Maestà. Lavoro che fin dalle prime origini mentali collegava già a doppio filo immagini, musica, ritmo. Nel 2002, poi, dirigendo il videoclip di Blue Song dei Mint Royale, si potevano già notare i germi di Baby. Quel che ne esce adesso è infatti il suo lavoro più riuscito e personale.
"Avevo 21 anni quando ho iniziato a sviluppare una fissa per Orange, l'album della John Spencer Blues Explosion. C'era questa traccia, Bellbottoms, che ascoltavo un sacco, e ogni volta pensavo: "Questa è la musica perfetta per un inseguimento d'auto". Questo mi ha fatto riflettere sulla possibilità di fare un musical d'azione. Qualcosa del tipo di ciò che Scorsese e Tarantino fanno con un juke bow, portandolo al limite estremo. Volevo qualcosa di audace, che riecheggiasse film come Point Break, The Getaway e i film di Walter Hill. Quando l'azione si scatena, ecco che inizia a essere più frenetico e violento. Si crea un vero danno collaterale."
Wright, s'è per quello, ha anche riguardato Blues Brothers, ma in verità, tutte questi riferimenti sono destinati a venir presto spazzati via dall'unicità di un film completamente fuori dagli schemi. Tanto che, inizialmente, non è stato così facile trovare una produzione consistente per una realizzazione adeguata. Alla fine, Baby Driver non è una commedia action, un heist movie, una parodia di film stile Drive (Wright ha iniziato a scrivere la sceneggiatura quasi in contemporanea alla nascita del film di Refn), né un film drammatico, o una più convenzionale fusione di dramma e comedy in stile americano (si tratta del primo film USA di Wright, a proposito). Il film si muove tra le linee intermedie dei generi, creando una miscela personalissima di cinema allo stato puro. Così che si assistano a scene di azione perfettamente sincronizzate alle musiche che ascolta il protagonista, ad una love story post-adolescenziale che riesce nell'impresa di non essere mai vomitevole, ad una storia in cui la noia non è mai presente ed al tempo stesso non è mai un banale insieme di inseguimenti o sparatorie.
Il divertimento è altissimo, il livello attoriale non di meno (memorabili Spacey, l'ex Don Draper Jon Hamm e lo psicopatico Jamie Foxx) e la fondamentale soundtrack strepitosa, ma soprattutto si assiste a quello che è forse il film più bello ed onesto a cui si possa assistere al giorno d'oggi. Lontano, grazie a Dio, da qualche (finto) impegno (pseudo)sociale da festival, dalla retorica di certi blockbuster di celebrati registi, o da pretenziosi prodotti autoriali che vorrebbero raccontare le condizioni dell'oggi con reiterati pipponi politico-moralistici (ma che palle).
L'intrattenimento non è mai stato così un toccasana come in questo caso.
God save the Queen end Mr. Edgar Wright.
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