Siamo all'inizio degli anni novanta, decennio che vedrà la popolarità di Edoardo scendere in picchiata dopo almeno quindici anni di grandi successi, concerti record, dischi eccezionali diventati pietre miliari della musica italiana. La partecipazione di Bennato alla realizzazione dell'inno dei mondiali di Italia 90 (interpretato da egli stesso assieme a Gianna Nannini) non sarà dunque un punto di partenza e una solida base per altri anni al top della musica nostrana, bensì una ciliegina sulla torta per quanto fatto nei due decenni precedenti, il top insomma, quel top dal quale si può solo scendere.

Sebbene Edo anche nei decenni precedenti avesse pubblicato album rivelatisi poi dei mezzi passaggi a vuoto (pochi per la verità, molto pochi), essi rimasero alla fine degli episodi a sé stanti. Mai come all'inizio degli anni novanta Edoardo ci aveva presentato nel giro di un biennio due dischi incredibilmente mediocri come "Il paese dei balocchi", del 1992, e "Se son rose fioriranno", datato 1994. Ciò che traspare dunque è una preoccupante mancanza d'ispirazione, di cura e talvolta anche di voglia di interpretare i pezzi. Sembra incredibile, ma è così: in certe canzoni sembra proprio di sentire un Edo svogliato e stufo come se cantasse il pezzo la millesima volta, quasi si renda conto egli stesso che sta cantando una canzone mediocre, senz'anima e senza inventiva.

La conseguenza di tutto questo è un lavoro banale, ripetitivo, monotono, a volte addirittura fastidioso, che stufa al primo ascolto. E, come ho già detto, sembra che lo stesso Edo si sia terribilmente annoiato a registrarlo. L'emblema del disco è la prima traccia "Magari si magari no" ribattezzata poi "La verità" nella raccolta del 2001 "Afferrare una stella". È una canzonetta abbastanza anonima, aperta da un coro che intona il tema portante della canzone che risulta dunque molto elementare. Sembra uno di quei pezzi che alcuni "artisti" d'oggi fanno così giusto per attirare un po' i ragazzini con un motivetto allettante da canticchiare magari quelle poche settimane in estate per poi dimenticarlo per sempre. (Non so se mi spiego... roba tipo: "Tieni in alto la mano / segui il tuo capitano / muovi a tempo il bacino / sono il capitano uncino", solo meno attraente). Il secondo pezzo, che dà il titolo al disco, è anch'esso aperto dal coro e inizia decisamente meglio del precedente; tuttavia dopo una buona parte iniziale la canzone diventa floscia e anche abbastanza fastidiosa per poi tornare infine al motivo iniziale. Ne deriva la sensazione (brutta) che se curata un po' di più, la canzone avrebbe anche potuto essere qualcosa di positivo.

La terza traccia "Tutto sbagliato baby" è già migliore e risulta perlomeno piacevole. Non è niente di speciale, sia chiaro, ma di fronte alla nullità dei pezzi precedenti, anche una canzone qualunque può fare un minimo di effetto. Arriviamo alla canzone numero quattro, l'unica che merita di essere ricordata in un certo qual modo: "Lo zio fantastico"; si risentono la chitarra e l'armonica, un certo impegno nella composizione del testo e una fantasia notevole nello sviluppo della canzone che, nelle sue componenti di ironia e denuncia, risulta a tratti anche toccante. Decisamente un gran bel pezzo, finalmente. Neanche il tempo di gustarselo però che arriva un'altra canzone che si allinea perfettamente con la prima, ma forse ancora peggiore: "Attento Joe". Il testo è banale, quasi stupido (proprio come quelli che si sentono al giorno d'oggi); e la musica, nella sua ripetitività e nel suo incalzare, lo è ancora di più. Il pezzo successivo è una ballata che nella sua inutilità e stupidità si allinea alla traccia precedente: è una canzonetta d'amore senza capo ne coda, roba che chiunque può mettere giù in pochi minuti, basta avere al proprio fianco un buon chitarrista con un minimo di fantasia per inventarti un arpeggio.

Dopo questi due pezzi veramente deludenti, per non dire inascoltabili, la settima traccia "Io ballo a stento" tira su un po' il morale: il motivo è veloce e ritmico e, grazie anche ai suoi adeguati e azzeccati intermezzi, è capace di risvegliare un po' l'ascoltatore. Il testo a dir la verità non presenta niente di nuovo, ma di questi tempi bisogna accontentarsi. L'ottava traccia, "Buon compleanno bambina", è un'altra canzonetta, o canzonaccia, vedete voi, di quelle già viste poco fa. Anonima e noiosa. Forse la più sempliciotta di tutte e di conseguenza inascoltabile e terribilmente irritante. Il nono pezzo invece risulta essere uno dei pochi positivi di questo disco: si intitola "Martiri del rock ‘n' roll" e dimostra che qualche idea e un po' di ispirazione per scrivere qualcosa Edo l'aveva ancora. La strofa è davvero molto originale e il ritornello fa veramente un bell'effetto. Perlomeno il sapore lasciato è di canzone venuta fuori non per caso che mostra un minimo di voglia di cantare e suonare.

Veniamo ora al punto più basso dell'album: track numero dieci, "Here comes Bo Diddley". È semplicemente la cover in inglese di "Attento Joe". C'era bisogno di riempire l'album. Così, per non saper né leggere né scrivere, si butta lì quattro parole su un pezzo già molto brutto, il tutto per omaggiare il bluesman americano, che ha partecipato alla registrazione dell'album. Omaggio fatto e buco riempito.

Con questo triste finale si chiude l'album, sconsigliato a tutti in quanto veramente negativo, che in pochi forse si sarebbero aspettati dopo tanti anni di grandi dischi e dopo il buon "È asciuto pazzo ‘o padrone" (probabilmente noto quasi solo ai fans dell'artista), colonna sonora del film "Joe e suo nonno", uscito sempre nel 1992 poco tempo prima de "Il paese dei balocchi". Tutti i difetti di questo lavoro saranno bissati due anni dopo in "Se son rose fioriranno". Con i dischi successivi ci sarà il riscatto, ma la stella di Edo ormai è eclissata, il grande pubblico non la vedrà più.

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