Edoardo Bennato torna con un album atteso che regala emozioni e tanta buona musica; già, la musica è al centro di questo disco prodotto da Orazio Grillo (in arte Brando) e magistralmente suonato da Edoardo e band; il disco è registrato in analogico, in sala di registrazione si suona davvero e si respira a pieni polmoni musica tinta di rock e blues, sino al finale rossiniano con “Non è bello ciò che è bello”; si parte con un pezzo memorabile, una ballata con venature blues: “Pronti a salpare”; un testo importante che prende spunto dal fenomeno migratorio di grandissima attualità, per poi mettere anche noi del “sistema occidentale” nella stessa condizione dei disperati costretti a lasciare tutto; una canzone magistralmente suonata, dove il pianoforte diventa un valore aggiunto insieme all’ispirata ed emozionante armonica di Edoardo; segue il primo singolo “Io vorrei che per te”: una ballata rock, intrisa di speranza e poesia; Edoardo attinge dal suo linguaggio, quello delle fiabe; adesso però fa un passo avanti rispetto a 35 anni fa, adesso vuole che “l’isola che non c’è diventi realtà”: è la nuova consapevolezza di un Bennato adulto che è diventato padre e questa ballata la dedica alla figlia per la quale , come ogni papà, desidera un mondo migliore; la terza traccia è “Povero amore”: canzone già presente nell’album “Sbandato” del 1998; qui viene, secondo me, ulteriormente migliorata con un apporto notevole dato da Giuseppe Scarpato (uno dei due chitarristi di Edoardo e uno dei migliori chitarristi in circolazione): il tappeto di basso e chitarra completamente rinnovato, offre a questo brano (già bello nella prima versione) una veste più moderna e accattivante; la quarta traccia è un colpo di genio e da Edoardo c’è da aspettarselo: “La calunnia è un venticello”; Bennato prende spunto dal barbiere di Siviglia per costruire un blues trascinante e ricordare Enzo Tortora e Mia Martini, uccisi dalle maldicenze che sulla carta stampata diventano “verità assolute”; Edoardo si fa portavoce di quanti rimangono schiacciati da questo sistema perverso della finta morale da ribalta giornalistica; segue "Il mio nome è Lucignolo”: un rock tirato, riecheggiano i Rolling Stones, icona del rock, e di cui Edoardo (da rocker navigato) è ovviamente un grande estimatore: si parla di lucignolo, personaggio collodiano escluso nel 1977 (album “Burattino senza fili”); edoardo lo ripesca e lo veste da PR; Lucignolo è la trasgressione per vocazione, Lucignolo è il cattivo consigliere che si autocelebra; “tra le insidie dei quaranta ladroni e le prediche di Ali Babà”, è lui il mago che apre ogni porta, è lui la garanzia (quanta sana ironia!, alla quale Bennato non sa rinunciare); la sesta traccia è un blues trascinante :“A Napoli 55 è ‘a musica”; canzone autobiografica, Edoardo ripercorre con sincerità la sua storia in musica, gli esordi con le porte sbattute in faccia, chi gli suggeriva di laurearsi e cambiare mestiere e lui per fortuna, cocciuto all’inverosimile, che alla musica non ha rinunciato e, dopo più di 40 anni da grande musicista-cantautore, possiamo dire che la sua testardaggine aveva un grande fondamento e una ragion di esistere; Edoardo, tra le parole autobiografiche del testo, non teme di raccontare la verità e oggi lo fa in maniera più diretta che in passato; non parla de “il gatto e la volpe”, ma direttamente li apostrofa come “i padrini e i padroni dell’industria del disco” (il rock è anche questo, provocare e muovere le coscienze con arguzia e grande intelligenza); la settima traccia è “al gran ballo della Leopolda”: ancora un blues trascinante; qui l’armonica è affidata (oltre alla chitarra) all’altro chitarrista della sua band e cioè Gennaro Porcelli che il blues lo vive sulla pelle come una vera vocazione; il testo è sfacciatamente ironico, ipotizza un dialogo con un Pippo sullo sfondo della Leopolda, quartier generale del potere di facciata; in questo scenario grottesco si muovono Edoardo con il suo “delirio”, Pippo con il suo “buon senso” e Matteo che si sdoppia e non si sa quale è “quello vero”; Edoardo fa il guastatore tra i cortigiani della Leopolda, persi tra “la foga della quadriglia e del tango figurato”; l’ottava traccia è “una macchina”, un blues claustrofobico, con un intro gospel inquietante; è un pezzo molto trascinante, suonato magistralmente e con un Bennato padrone più che mai della scena; si ironizza sull’uso della tecnologia che Edoardo guarda con rispetto, quasi devozione, ma anche con sospetto; la salvezza , ma anche l’estinzione, sono due risvolti della stessa medaglia, tutto dipende dall’uomo e dall’uso che ne fa; la nona traccia “giro girotondo” è una ballata dolce, poetica e ispirata; la voce di Edoardo, come in “Io vorrei che per te”, si fa paterna e quando alla fine canta delle “montagne tra le noci e le castagne” , è il papà che parla al figlio e sogna per lui un mondo migliore, che forse già c’è ed è a portata di mano, se solo rinunciassimo alla “folle velocità” e ci mettessimo a fare “il girotondo” che “ci salverà”; Edoardo ci sa dicendo di tornare bambini, la salvezza della terra passa anche di qua; la decima traccia è “il mio sogno ricorrente”: canzone rock, trascinante, autobiografica; “quanto più mi danno addosso tanto più c’è gusto a sgarrare”, Edoardo sogna di volare, per lui volare vuol dire “scavalcare i luoghi comuni e le frontiere”; Edoardo non ascolta i divieti, si sa lui è allergico ai grilli parlanti, lui preferisce essere pinocchio e qui anche un po’ Peter Pan, visto il sogno ricorrente di prendere “bene la rincorsa” e spiccare il volo sui buoni consigli , sulle convenzioni e sui steccati ideologici; segue “Niente da spartire”, un blues cantato alla Dylan; un testo dannatamente bennatiano, un Bennato autentico, contro i salvatori della patria, i finti moralisti, i perbenisti e i sentimentalisti di professione ad uso e consumo della propria “fazione”; Edoardo non si è mai schierato, è rimasto sempre fuori dai cortei, non ha mai sventolato bandiere ed ideologie: questa canzone è il suo cartellino da visita, chi lo segue da sempre sa di cosa parla e qui ci ritrova tutto quello che questo menestrello rock è sempre stato e continua coerentemente ad essere: “uno squilibrato, un provocatore”; segue “La mia città”, canzone d’amore verso Napoli , sempre presente nei dischi di Edoardo; non ha mai parlato di una Napoli da cartolina e non lo fa neanche in questa canzone, con un invito però alla speranza in un futuro migliore che dipende dall’impegno di ognuno di noi; mi piace tanto l’armonica in questo pezzo, molto evocativa; la penultima traccia è “Zero in condotta” (edita la prima volta nel 1985, album “Kaiwanna”): canzone rock, su un testo non-testo; simile all’originale , ma con più spazio alle chitarre; dal vivo sarà bello riascoltarla; a fare contrasto con “Zero in condotta” , chiude l’album una perla: “Non è bello ciò che è bello”; il maestro Raffaele Lopez , tastierista della band di Bennato, dirige l’orchestra; Edoardo si traveste da Rossini (come già ci ha abituato in passato, cito, tra le altre, “Dotti medici e sapienti” o “In fila per tre”) e ci regala un invito in musica a seguire il cuore e non sempre la ragione; Edoardo parla della sua “Vita in musica”, dei suoi errori con il relativo scotto che si paga; è la nostra vita, sta a noi trasformarla in un sogno; si chiude così un album bellissimo, un grande ritorno; l’amico di Bennato, Fabrizio De Andrè (al quale Edoardo dedica la canzone che da il titolo al disco) gli aveva consigliato di continuare con la musica finchè avesse avuto qualcosa da dire; ecco perché nel 2015, a 42 anni dal primo album “Non farti cadere le braccia”, stiamo ancora a parlare di questa autentica anima ribelle, sempre sopra le righe, sempre sfacciatamente, dannatamente e coerentemente ROCK
Carico i commenti... con calma