E' il 1980 quando Edoardo Bennato pubblica questo "Uffà Uffà", a distanza di tre anni dal suo precedente lavoro, "Burattino senza fili", che era stato un grandissimo successo di vendita ed anche di critica, forse spiazzando il suo stesso autore, che probabilmente non si aspettava un tale citato successo, mai "sperimentato" fino a quel momento. Ciò spiegherebbe anche la lunga pausa fra la pubblicazione dei due lavori, inusuale per lui (ma in generale un pò per tutti i cantautori negli anni '70), abituato invece alla pubblicazione di un album ogni anno.

Già dalla copertina si intuisce che siamo di fronte a qualcosa di non ordinario, che esula dalla produzione tipica dell'artista: in essa viene rappresentato infatti un Edoardo quasi satanico (anche se in forma "fumettistica"), munito di coda e lingua biforcuta con tanto di lampi che fuoriescono dalla sua bocca, un juke-box a mò di pantaloni ed una specie di cortocircuito in atto. La fantastica copertina citata è opera di Tony Esposito ed era già apparsa in "Dirotterotti", libro pubblicato da Bennato nel 1979 che raccoglieva gli spartiti dei suoi brani, nonché alcuni scritti pubblicati in precedenza dallo stesso Bennato con lo pseudonimo "Il professor Cono", protagonista fra l'altro di un altro suo pezzo contenuto nell'album "Io che non sono l'imperatore" del 1975. E le canzoni presenti nel disco non deludono le attese.

Si parte infatti con "Li belli gladioli", una specie di salmo recitato senza alcun accompagnamento musicale, con tanto di simil-coro parrocchiale finale, definito un "canto propiziatorio, penitenziale, giaculatorio e di speranza": probabilmente tale brano di apertura ha la stessa "funzione" della copertina, ossia far capire che siamo di fronte a qualcosa di imprevedibile, strambo, folle. Se poi si volesse far riferimento anche alla simbologia del gladiolo (secondo la quale il gladiolo sta a significare un carattere forte, ma, allo stesso tempo, indica anche diffidenza verso quello stesso carattere) non è dato sapere. Si prosegue con il rock'n'roll anni '50, con tanto di sax, di "Sei come un juke-box": nel brano si descrive una problematica comune a molti artisti, ossia la pressione subita dai discografici per far sì che la pubblicazione dei dischi avvenga ad intervalli quasi regolari in base alle logiche di mercato e non, invece, in base all'ispirazione dei loro autori, con il rischio che tali dischi siano, appunto non ispirati. Ciò è ancora più evidente nel caso di Bennato che, come detto, veniva da tre anni senza pubblicare un disco dopo il successo di "Burattino senza fili", e che, quindi doveva senz'altro aver subito la pressione dei "suoi" discografici per la pubblicazione, al più presto, di un nuovo disco. La similitudine con il juke-box, dove basta introdurre una moneta per ascoltare il brano desiderato, è evidente. Le "cento lire" inoltre potrebbero essere un riferimento ai compensi ritenuti non adeguati. Anche altri cantautori italiani avevano trattato in precedenza la stessa problematica, in particolare Roberto Vecchioni nel brano "Messina" del 1973 (potrei far quello che non rischia, e come scarpe inventar dischi; ma far credere alla gente che se mi compra è intelligente sarebbe come una mattina svegliarsi ed essere a Messina, città che è degna d'ogni stima, ma che vuoi che ci faccia io a Messina) e Pierangelo Bertoli nel brano "A muso duro" del 1979 (Ho speso quattro secoli di vita e fatto mille viaggi nei deserti, perché volevo dire ciò che penso, volevo andare avanti ad occhi aperti. Adesso dovrei fare le canzoni con i dosaggi esatti degli esperti, magari poi vestirmi come un fesso e fare il deficiente nei concerti).

Nel successivo soft-blues "Così non va, Veronica", siamo di fronte ad un divertentissimo brano (sicuramente il più "radiogenico" del disco, unitamente a "Sei come un juke-box") nel quale il protagonista indiscusso diventa il sassofono, sia nel testo (voglio imparare a suonare il sassofono, e ci riuscirò), sia nella musica, dove il citato sassofono viene suonato (benissimo) da Enzo Avitabile. Il significato del testo del rock-blues "Allora, avete capito o no?" si scoprirà solo quindici giorni dopo l'uscita del disco in commento, quando verrà dato alle stampe dall'autore un secondo album, "Sono solo canzonette", operazione tenuta in gran segreto fino a quel momento. L'"indizio" è nel passaggio "Si era sempre fatto così, si era sempre fatto uno per volta... ah? E allora?... E allora a me mi piace due per volta!", con grande scorno e delusione di chi in quei versi aveva ravvisato qualcosa di più "piccante". Ma d'altronde, con quel "si era sempre fatto così" si sarebbe dovuto già intuire che il riferimento al "piccante" era errato: molto più rara, sicuramente, la pubblicazione di due dischi a distanza di soli quindici giorni di tempo l'uno dall'altro che non l'altra "situazione". Inoltre, con l'uscita di "Sono solo canzonette" si capì ancora meglio l'ironia sottesa al precedente citato brano "Sei come un juke-box": non solo Bennato aveva aspettato tre anni per pubblicare un nuovo disco, ma poi ne aveva pubblicati ben due a distanza di pochissimo tempo l'uno dall'altro. La logica di mercato non scritta infatti (almeno all'epoca) non solo prevedeva l'uscita quasi annuale di album di uno stesso artista, ma vietava, o comunque sconsigliava, l'uscita di due dischi (sempre di uno stesso artista) a breve distanza di tempo l'uno dall'altro, in quanto si riteneva che, così facendo, i due dischi non potessero vendere "bene" entrambi: ma tale previsione dei soliti profeti di sventura sarà smentita alla grande, soprattutto con "Sono solo canzonette", che risulta ancora oggi essere uno dei dischi più venduti di sempre della musica italiana.

Si prosegue con il reggae di "Che combinazione", che a mio avviso fa riferimento agli "intrecci" terrorismo-politica (Che combinazione, guarda che fatalità:siamo usciti di casa non sapendo bene cosa fare. E poi così per caso siamo arrivati tutti qua): d'altra parte, si era ancora nel pieno dei famigerati "anni di piombo". A seguire la perla del disco ed uno dei miei brani preferiti in assoluto, "Restituiscimi i miei sandali": un vero e proprio delirio, sia nella musica, dove si passa da atmosfere soffici, levigate e quasi sognanti (nelle strofe), ad altre decisamente più esplosive e quasi punk (nel ritornello); sia nel "cantato", dove anche in questo caso si passa da un registro quasi sommesso e rassegnato ad uno decisamente più sarcastico, beffardo, arrabbiato e schizofrenico. Ho provato anche a dare un significato al testo, ma non ci sono riuscito: forse si tratta solamente di un (riuscitissimo) nonsense!

Nella beguine di "A Licola" (località della città metropolitana di Napoli) sembra si punti il dito sulla classe politica e sulla conseguente cattiva amministrazione del relativo territorio, considerando il fatto che Licola è anche un interessante sito archeologico. Nel finale del brano si ha l'effetto di un disco incantato, non nel senso di fiabesco, ma di disco che si incanta, si incespica e non riesce ad andare avanti, forse a simboleggiare la precedentemente descritta miopia politica, quando non si può (o non si vuole) andare avanti e guardare oltre. Chiude il disco il trascinantissimo punk della title-track, con la partecipazione (oggi si direbbe featuring) del gruppo punk bolognese Gaznevada: nel testo si fa esplicito ed arrabbiatissimo riferimento ai venti di guerra che in quell'anno spirano tra i paesi occidentali e quelli arabi (ed in particolare tra USA e Iran) a causa del problema dell'approvvigionamento del petrolio, con i conseguenti grandissimi rischi connessi, sia economici che militari. Nel testo si paventa anche il rischio di una nuova austerity (Uffà! Uffà! Quelli erano già strani, forse per eredità o per costituzione; ma con i miraggi del paese delle meraviglie li avete incattiviti, e allora adesso andate tutti a piedi e non mi, e non mi, e non mi ricattate) e nel finale si chiude addirittura con il rumore di un vero e proprio sputo, indirizzato "a quelli che sono addetti alla preparazione di questa maledetta, di questa maledetta, di questa stramaledetta terza guerra mondiale". Brano purtroppo ancora attuale, anche per il rischio di una terza guerra mondiale, pur se con protagonisti (almeno in parte) diversi.

In conclusione: un disco atipico, pazzoide, delirante, sarcastico, beffardo, folle, spiazzante, adrenalinico, nervoso, arrabbiato, per certi versi geniale, dove l'autore non rinuncia comunque (almeno in parte) ai suoi consueti strali. Oppure anche in questo caso erano solo canzonette? Chissà! Sia come sia, questo lavoro rappresenta sicuramente un unicum nella carriera del cantautore di Bagnoli: peccato!

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