Le pelli in cui abitiamo sono gli abiti che ci portiamo addosso giorno per giorno e che determinano tutta la nostra esistenza. Si dice che l’abito non faccia il monaco, se già questo è difficile da accettare lo è ancora di più giudicare una persona al di là del suo aspetto fisico, soprattutto se si tratta di casi estremi, di persone costrette a vivere in corpi deformi o menomati.

''Pieles'', esordio al lungometraggio del regista spagnolo Eduardo Casanova, presenta al grande pubblico proprio una serie di personaggi ‘mostruosi’: uomini, donne e adolescenti che vivono in un corpo diverso dal normale. Le loro storie sono inserite nel tessuto umano di personaggi altrettanto bizzarri, spesso inadeguati, che li circondano e vivono con loro. Una donna grassa e nuda che mostra ad uomo un catalogo di bambini per poi suggerirgliene una speciale, un’adolescente senza occhi, che sarebbe la scelta migliore perché alcuni di noi sono nati per soffrire, e questo è il loro destino: il dialogo iniziale coglie allo stesso tempo una verità crudele e impietosa quanto l’incorreggibile limite umano di non saper accettare ciò che è diverso, e da questo l’inadeguatezza dei personaggi di contorno a rapportarvisi.

Casanova, già regista di cortometraggi, aveva diretto il geniale ‘'Eat My Shit’', prequel proprio di Pieles. Un cortometraggio di circa tre minuti la cui protagonista è Samantha, una ragazza con la faccia da culo (ha l’ano al posto della cavità orale, e viceversa) che posta un selfie su Instagram, che viene rimosso perché ‘'non rispetta gli standard della comunità’', e decide di vendicarsi con un piccolo scherzetto…Samantha è una dei protagonisti di Pieles, la cui storia verrà ripresa.

Alla stregua del corto che lo ha preceduto, Il film non ha intenti moralistici: non mostra l’emarginazione o la segregazione come una denuncia sociale, ma come dati di fatto, che mettono in luce ancora di più l’estrema dignità di queste persone, che vivono la loro vita nella società nonostante nei più dei casi siano costretti a posizioni margine. La rappresentazione della diversità è acuta, amara, esilarante, grottesca.

La battaglia per il riconoscimento della propria dignità umana a discapito dell’aspetto esteriore ai limiti dell’umano era il tema centrale del celeberrimo The Elephant Man: Lynch metteva qui al centro della storia l’emarginazione e il desiderio di autoaffermazione di un uomo – a tutti gli effetti un uomo, ma mostruoso e deforme, usato come fenomeno da baraccone. L’urlo dell’uomo-elefante davanti a una folla pronta a massacrarlo, la parola come segno di umanità, è qui in Pieles un elemento superato: perché queste persone non hanno bisogno di dimostrare a nessuno di essere degli esseri umani, di essere uguali agli altri, già lo sono, e sembrano a volte quasi ignare della loro diversità. Completamente diverso è lo spirito del film.

Il regista ambienta le sue storie sullo sfondo di una scenografia dai toni squisitamente pastello, rosa, viola e glitter a volontà, che mette in risalto i suoi personaggi deformi in una luce grottesca. Casanova gioca moltissimo con l’estetica, accentuando volutamente la perfezione zuccherina degli sfondi, che sembrano quelli di una casa delle bambole o di un film di Wes Anderson, per gettarvici dentro personaggi anti-estetici. L’intento di scioccare e meravigliare lo spettatore è chiaro, ma l’impianto visivo non appiattisce i personaggi, anzi al contrario gli regala un supporto di sicuro impatto scenico. Una furbata che rende Pieles un film ancora più controverso, ai confini fra freak show e film impegnato. Non è nessuna delle due cose, o un po’ di entrambe, ma sicuramente l’estetica gioca un ruolo fondamentale e riesce a rendere affascinante e accattivante qualcosa che si presuppone sia l’esatto contrario. Ostentando fino all’eccesso, mostrando a tutti costi ciò che non si vuole vedere. Ma in quest’ostentazione c’è sia arte che umanità, e l’unione fra le due rende Pieles capace di meravigliare , raccapricciare e commuovere. E ci sarà, come sempre in questi casi, qualcuno che storcerà il naso e basta, ed io anche storcerò sempre il naso quando ne incontro uno.

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