Molti lo chiamerebbero masochismo ma io non credo che sia così. Semplicemente in questo periodo non ce la faccio proprio ad ascoltare musica allegra, utilizzandola come un pennarello atto a coprire quello che c'è sotto. Vederlo sgretolarsi settimana dopo settimana in ospedale è una cosa atroce; questo stato di cose mi spalma addosso un velo di tristezza che cerco di scaricare in vario modo. Qualche aperitivo e qualche serata non manca ma la sensazione preponderante è quella di ascoltare un disco graffiato; la melodia che si interrompe in continuazione. E allora prendo le cuffie e corro fino a quando non diventa buio.
Se un bambino vede qualcosa di anomalo, si avvicina e tenta di toccare con mano ciò che non comprende. Apre la mano e si avvicina a quella gamba che dovrebbe esserci e che invece pare si sia nascosta chissà dove. È solo con la forza e la costanza di quei continui rimproveri da parte dei genitori che con il tempo impariamo a dissimulare l'attrazione, l'interesse per il diverso, tramutandolo nell'arte del far finta di niente, del nascondere la polvere sotto il tappeto.
Con sempre maggior frequenza sto facendo la conoscenza del reparto di oncologia della mia città; ci sono bambini che con candore chiedono perché il loro parente sia dimagrito tanto e non abbia più i suoi capelli. Taluni prendono gli angoli della bocca del nonno o della madre e glieli tirano in su per formare un sorriso; quello che è in ferie da diversi mesi. Sono disarmanti e strappano gioia perché con quella sincerità li fanno sentire ancora delle persone vere e non solo degli oggetti da commiserare piangendo. Un visitatore impiega qualche giorno per ambientarsi e capire che dietro a quella diversità, a quel dolore mostruoso, c'è bellezza.
Beautiful Freak.
Dopo un paio di album solisti pubblicati ad inizio anni '90, Mark Oliver Everett, molto più semplicemente E., pubblica il primo disco con gli Eels. È un cd che può scorrere tranquillo in macchina, l'ho conosciuto così qualche mese addietro, come placido sottofondo mentre si discorre del più e del meno; strumenti e voce non sono mai eccessivi, sovente sussurrano ed in taluni casi pare stiano bussando delicatamente con le nocche chiedendo “posso disturbare?”
Ascoltare “Beautiful Freak” in siffatta maniera sarebbe tuttavia ben poco cortese da parte vostra. La copertina, nel caso aveste il cd originale come me, ci fa subito capire che è un lavoro molto intrigante con una bambina che gattona e che ci scannerizza con degli occhi spropositatamente grandi. Siamo attratti da quelle palline da tennis ma poi chiniamo la testa facendo finta non averle viste perché ci mettono quasi in imbarazzo. Un piccolo mostro di una tenerezza disarmante che con le sue dodici canzoni ci conquisterà senza nemmeno troppi sforzi.
Fossi un esperto direi che la musica degli Eels appartiene al genere indie rock e che si rifà ad artisti come Cake e Beck, con chitarre alquanto morbide anche nei pezzi più ritmati come “Novocaine for the Soul”. Chiudo gli occhi e mi lascio cullare da una dolce malinconia che dura una quarantina di minuti e nella quale tutto è grigio pur essendo pregno di dolcezza (“Susan's House”). Sono tracce di breve durata nelle quali la produzione del suono pare essere volutamente ovattata come se volesse far invecchiare il prodotto di qualche decade (low-fi). Intro come quelli di “Rags to Rags” riescono materializzare la fine caduta di una pioggia sferzata dal vento che da qualche mese alberga costantemente per qualche ora nel mio quotidiano. Un lamento, ora elettronico (“Mental”) ora più graffiante, prende le sembianze di una chitarra distorta (“My Beloved Monster”). Questa musica mi si attorciglia addosso con pochi elementi ben distinti in ogni singolo pezzo che si differenzia dal precedente. È un disco da ascoltare senza interruzioni, scevro di cali e che riesce a portarmi alla memoria ricordi di rara dolcezza come se quella musica ci fosse legata da anni. La voce di E. sa essere ruvida (“Rags to Rags”) oppure una carezza (“Monchild”) ed i testi semplici e per nulla accomodanti sono un valore aggiunto.
Splendida malinconia sotto forma di musica.
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