E' sempre difficile parlare di album come questi, iperautobiografici, prolissi, pieni di intermezzi strumentali minimali e, come in questo caso, doppi, per la bellezza di 33 brani. Un fiume in piena di emozioni scritte con la solita bizzarra "nerditudine" acustica del factotum E.(all'anagrafe Mark Oliver Everett). Il lavoro è diviso in due parti musicalmente simili ma nettamente divise nei contenuti. Il primo disco è fortemtente autobiografico e semplicemente osservando i titoli vi si potrebbe leggere uno spaccato del suo passato: "da dove sono venuto/un mondo magico/figlio di una puttana/l'uomo della ferrovia/nel cortile dietro la chiesa". E. Si mette a nudo a partire dall'atto di nascita fino alle ansie della maturità, passando attraverso la famiglia, la crescita, i primi amori, la depressione, gli addi e i lutti. Siamo di fronte ad un vero e proprio manifesto di autopsicanalisi sghemba fatto di tanti piccoli ritratti a volte meno riusciti e fin troppo minimali ("Checkout Blues"), come per altro è nelle corde di questo artista, comunque particolarmente convincente proprio in questa prima parte, dove al di sopra di tutto risplende la solenne cavalcata di "The Other Shoe" e la positività iniziatica di "From Which I Came/A Magic World".
Nel secondo disco la frammentarietà si mantiene costante mentre i temi trattati non guardano più indietro ma al presente, con un forte senso di distacco e rassegnazione diffuso, e qui il titolo del disco, "luci intermittenti ed altre rivelazioni", conferma la sua vera essenza di libretto pieno di schizzi testuali e musicali. Per chi scrive una ricetta alla lunga poco digeribile visti i tanti momenti di divagazione trascurabili, con lunghi passaggi a vuoto compensati da gemme sparse e soprattutto da una perla finale come "Things The Grandchildren Should Know" che da sola vale la fatica di essere arrivati in fondo all'ascolto del secondo disco.
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