Saran stati.. che so.. dieci anni fa quando scoprii gli Eels.
Ero a casa dell'allora mia cantante, stavamo seduti lì sul divano non sapendo che disco mettere su e lei mi disse "Ho un disco che ti somiglia". Non riuscivo a capire a cosa si riferisse. Partita "Novocaine For The Souls" ho perfettamente capito cosa volesse dirmi. Al mio essere depresso, come confinato in uno stato apparente di grigio costante. Così era mr.E, così io mi sono infatuato del suo modo di straziare l'anima sua e altrui con le sue apocalissi personali, le brecce nel muro della sua anima che lasciavano trasparire una fioca luce di malinconica speranza, parola laconica e latente nel linguaggio Everettiano. E quella luce è finalmente esplosa. Non so bene in che modo una persona che vive costantemente in un inferno di ricordi brutalizzanti possa emettere una tale quantità di luminosità dopo una strada tortuosa che sembrava portare solo in basso. Anche se le avvisaglie si facevano già sentire negli ultimi lavori della sua creatura. Una creatura che ha messo radici più compatte nelle velleità musicali del signor E. Così un mattino ci si sveglia e si scopre che la finestra si può aprire facendo entrare il sole. Arriva così il momento di "Wonderful, Glorious", un disco che mostra i denti, anche perché la barba ha incontrato le forbici e la bocca può aprirsi a dovere per gridare qualcosa che prima era rimasto in un angolino della gola. E oltre ai denti mostra anche una buona dose di muscoli.
Muscoli insidiosamente forti, come nell'opening "Bombs Away", con le sue percussioni da rito voodoo, le chitarre compatte e allo stesso tempo taglienti e dirette e il testo che avverte di una nuova vita pronta a fare male a chiunque si metta di traverso ("I've enough of being a mouse/I'll no longer keep my mouth shut"), con quella classe che solo il grande vecchio gatto Waits può ispirare. La strada si snoda sulle percussività da giochino rock'n'roll fuzzammazza di, appunto "Kinda Fuzzy", con la strofa Beckiana e stronza, con quelle toy-tastiere che ti fanno muovere la capoccia fino a fartela frullare nel ritornello. E il Godzilla fuzz continua a mietere vittime nell'enorme "Peach Blossom", i muscoli mostrati sopra si fanno sempre più distorti, e incontrano qui e là aperture di chitarra pulita e synth che fanno staccare la spina salvo poi tornare sui propri passi infilando le dita direttamente nella presa, una batteria enorme ed effettata accompagna l'invito ad aprire la finestra e guardare fuori. Ma questo non è solo un lavoro di "grandezza" sonora, e lo si scopre nel velluto delle chitarre e nella fumosa voce di "The Turnaround", dove la malinconia della sera cala sulle note (in)dolenti e finisce per aprirsi in finale in un crescendo gridato a mezza voce. E il blues strafatto di "New Alphabet" sembra dire ai Black Keys "imparate la lezione come si deve che ne avete ancora di strada fare", il ritornello ficcante e spinto nella sua cadenza da macigno elettrico si sposa alla perfezione coi voli di synth e arpeggi che infettano la composizione senza snaturarne la forza arrembante. Ma la bellezza degli Eels si palesa sempre nel tocco morbido e "True Original" si dimostra, per le mie umili orecchie, il pezzo più riuscito e alto del lavoro, una sorta di love song che tradisce fumo ed epicità, con la sola chitarra elettrica di Everett a carezzare l'idea di dipingere qualcuno a tinte blue acceso.
Ed è così che il signor Everett prende le distanze dalla sua tristezza allucinante (finendo per non assomigliarmi più davvero come diceva la mia cantante), non si sa ancora per quanto, non si sa se per sempre. Forse non griderete all'orgasmo (mortifero) come dopo aver ascoltato "Electro-Shock Blues" ma è nel cambiamento che gli Eels hanno sempre attinto ed è da questo punto che sembra andranno a prendere le mosse d'ora in avanti.
Fino alla prossima disgrazia.
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