Siamo nel 1981. Mentre a Londra il punk si stà pian piano spegnendo e quelli come Tod Ashley e Trent Raznor sono ancora poco più che bambini, tre ragazzi berlinesi decidono di creare una non-musica concettualmente art-house, prendendo spunto dalle avanguardie dadaiste di fine 800, dal rumorismo e anche dal teatro sperimentale moderno e dalla modern art, per creare a livello musicale ciò che gli esponenti dell'"Arte Povera" avevano creato negli anni 60 per quanto riguarda l'arte visuale. La loro musica si basava infatti sull'utilizzo di oggetti della vita quotidiana, dai cucchiaini ai martelli pneumatici, passando per i tubi flessibili, le smerigliatrici e qualsiasi cosa ritenevano necessaria a riprodurre il "pianto della civiltà industriale". Ciò che scaturirà dalle loro opere sarà la massima espressione di tutta la musica industriale.

Reduci di due singoli (Fur den Untergang e Dürstiges Tiger) e di un extended-plate (Kalte Sterne) che lasciavano già trasparire dai loro sanguinosi assalti cacofonici quello che il gruppo sarebbe diventato con questo e con i tre full-lenght successivi, dopo numerosi cambi di line-up (che servono anche a eleggere come leader il chitarrista/vocalista (singer sarebbe riduttivo) Blixa Bargeld (al secolo Christian Emmerich)), gli Einsturzende Neubauten ("Nuovi Edifici Che Crollano") si presentano con questo Kollaps ("Crollo"), manifesto di avanguardia industriale, uno dei dischi più terribili e oscuri di tutto il panorama musicale contemporaneo.

In sostanza si tratta di una manciata di brani (quattordici, per la precisione) in cui l'arte del rumore (come la chiamava il futurista Luigi Russolo al suo tempo) raggiunge quasi il suo zenith, dico quasi perchè i due album che seguiranno saranno ancora più significativi, grazie all'esperienza e alla maturazione del gruppo. La potenza delle composizioni, dal punto di vista musicale è data da diversi fattori: l'abbandono (quasi) totale della melodia, per creare delle architetture di puro rumore, in grado di dare un senso di claustrofobico realismo a le loro opere; l'uso della voce non più con delle linee vocali precise, ne con il "parlato" bensì con una dizione, una recitazione delle parole, che a volte si spinge fino all'estremo delle urla, coprendo buona parte dei possibili suoni riproducibili dagli esseri umani; e ancora l'utilizzo di rumori di sottofondo ossessivi, e contemporaneamente onirici e delicati nonostate la loro palese natura artificiale (invenzione, questa, dei pionieri Throbbing Gristle).

Passando all'aspetto lirico, possiamo dire ben poco; non perchè le liriche di Blixa siano poco significative, ma perchè il loro estremo cripticismo le rende aperte a moltissime interpretazioni, di cui non ce n'è una più corretta dell'altra, ma al massimo una più verosimile, vi invito quindi, se siete interessati, a cercare voi stessi i suoi testi (che si trovano sul web anche con la traduzione in italiano) e a trarne le vostre personali conclusioni.

L'album si apre con "Tanz Debil" ("Danza Demente"), una danza tribale di preparazione alla guerra, un brano piuttosto violento, ritmato da quella che potrebbe essere una pressa idraulica, o un qualche altro grosso oggetto metallico, che utilizza delle ritmiche da techno undergound tedesca; i vocalizzi di Blixa sono un misto tra le richieste di soccorso di un uomo intrappolato tra le macerie e le urla di un combattente che sprona i suoi soldati alla battaglia. Il brano si conclude con un'orgia cacofonica crescente, e con le urla di Blixa accentaute ancora di più dall'uso di sottofondo di quello che potrebbe essere uno spurgatore industriale e dall'immancabile smeriglio.

Il rumore di un martello pneumatico apre invece la seconda traccia, "Steh auf Berlin (Krieg In Den Stadten)" ("Stò Su Berlino (Guerra Nelle Città)"); questa volta le grida di Blixa sono quelle di un posseduto che descrive le macerie di una citta distrutta, molto probilmente dalla sua stessa foga consumistica. Il ritmo è dato da quello che potrebbe essere il rumore di una catena, o forse degli ingranaggi di un grande macchinario; anche questa volta è un colpo pesantissimo, specialmente per coloro che non sono abituati a cogliere la musica nel rumore e ancor di più a quelli che sono abituati alla sola musica tonale.

"Negativ Nein" ("Negativo, No") è tanto calma quanto oscura: l'inizio è il suono di quelli che potrebbero essere tanti orologi a pendolo oppure una batteria artigianale, come delle bacchette di legno battute su plastica, con in sottofondo dell'acqua che si muove dolcemente? dopodichè sopraggiunge la voce, mai come ora mefistofelica; le urla sembrano rubate a "Frankie Teardrop" dei Suicide, ma sono ancora più ruvide e violente? finchè il brano non termina con lo spaventoso grido finale.

E' ora il turno di "U-Haft Muzak", strumentale cupa dominata da una percussione ovattata con in sottofondo, distanti, le urla e una specie di rumore elettrico e rari momenti di smeriglio, è una specie di versione degli inferi di "Maggot Brain" dei Funkaedelic, una "M. B. " trasportata nel mondo delle ombre.

La brevissima " Draussen ist feindlich" ("Là Fuori è Ostile") è una delle tracce, nonostante la sua brevità, più emozionanti del disco: la voce sussurrata, a creare un clima intimistico, si scontra con il rumore di quello che potrebbe essere un ariete intento a sfondare una porta (questo è quello che il brano mi ha comunicato col senno di poi, dopo aver letto le lyrics), a fare da contrappunto ci sono delle voci femminili, che recitano qualcosa di incomprensibile e beffardo. A seguire a ruota questo brano troviamo "Hören mit Schmerzen" ("Ascoltare Con Dolore"), una vera e propria marcia funebre di un mondo che è andato troppo oltre per poter essere salvato. L'incedere cadenzato, proprio di tutte le marce funebri, ricordano i passi dei portantini che trasportano la bara, in questo caso, quella della civiltà moderna. E' uno dei momenti più tragici della loro produzione.

Il brano a seguire è forse quello che mantiena una musicalità più netta: "Jet'm" si apre con degli arabeschi di synth che si intrecciano alle percussioni tribali, creando una aria di misticismo irreale. Và ricordato che questa traccia è una specie di cover (brutalizzata) di "Je t'aime (Moi non plus)" di Serge Gainsrbourg, cover realizzata non per tributare, ma per mettere in ridicolo.

Ed ora la title track: "Kollaps" ("Crollo") si apre con un incedere marziale alla Killing Joke, per poi trasformarsi lentamente in un rituale stregonesco, una danza per favorire la caduta, un inno alla decadenza e alla distruzione. Dal punto di vista musicale tradizionale è sicuramente la traccia più completa, in quanto rimane molto ancorata alla forma canzone tradizionale, e nella voce (distrutta e struggente) si possono trovare dei rimasugli di linea vocale tradizionale; per questo è una traccia di facile assorbimento, adatta anche agli ascoltatori della musica più tradizionale.

Dopo gli otto minuti di Kollaps arriviamo a "Sehnsucht" ("Desiderio Ardente"), quasi una ballata per piano, in cui le reminescenza industriali possono essere scorte solo nel "bip" intermittente. Tuttavia è solo una coda di "Kollaps" stessa.

"Vorm Krieg" ("Guerra Dei Vermi) è un intermezzo, durante il quale si sentono dei rumori di apparecchi radio o televisioni.

Il vero nuovo brano è "Hirnsäge" ("Sega Cerebrale"), una processione schizoide, l'ennesima marcia di una guerra senza fine. Continuiamo a notare una certa musicalità anche in questo brano; essendo anch'esso di facile fruizione. Si tratta di una semplice trance dominata da una chitarra ipnotica e da percussioni in stile orientale, che sfociano ogni tanto in sfuriate brevissime.

Il finale ha nome "Abstieg und Zerfall", cioè "Declino & Rovina"; siamo difronte alla traccia più malinconica della realase, il vero e proprio funerale. Quello che sentiamo è il suono del vento tra le macerie, e i frammenti di acciaio che vengono buttati sul cadavere sanguinante della Terra stessa.

Con "Helga", l'ultimo messaggio, l'ultima preghiera prima dell'oscurità finale, cala il sipario su uno degli album più importanti della scena industriale, e sul cadavere della civiltà moderna, suicidatasi per mezzo delle macchine che lei stessa aveva costruito.

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