Cosa aspettarsi dagli Einsturzende Neubauten nell’anno 2014?
La formazione tedesca è stata indubbiamente portatrice di un'esperienza fondamentale per la storia della musica tutta; un'esperienza che però, a voler essere stronzi, avrebbe potuto concludersi anche alla fine della decade ottantiana. Io, che stronzo non sono, ho apprezzato anche i lavori successivi, progetti collaterali compresi, ma sempre con il naso arricciato, la fronte aggrottata ed una punta di insoddisfazione sulla lingua: eterno rispetto per un ensemble storico come gli Einsturzende Neubauten, che mai ci ha “tradito” con lavori scadenti; il fatto è che, come capita praticamente a tutti, prima o poi s’invecchia, l'ispirazione si spegne, il mestiere prende il sopravvento. E noialtri finiamo per accontentarci di album di classe e ben confezionati, ma non più animati dalla originaria fiamma dell’ispirazione.
Per “Lament”, progetto iper-ambizioso concepito per essere rappresentato dal vivo (dimensione in cui l’opera troverà compimento definitivo), mi sento di fare un ragionamento diverso: un colosso di oltre settanta minuti che ha per tema la Prima Guerra Mondiale (ricordiamo che nel 2014 cade il centenario dello scoppio della Grande Guerra) o è un mattone inascoltabile o è un capolavoro.
Personalmente mi sento di propendere per la seconda riva, e questo per almeno un paio di motivi. Da un lato l'enorme sforzo di ricerca che vi sta dietro: “Lament” è anzitutto un'opera concettuale, dove i rimandi storiografici si sprecano (basti leggere, nel booklet interno, le note che accompagnano ciascun brano). Dall’altro l'eccellente realizzazione: vuoi il mestiere, vuoi l'esperienza, vuoi un dispiegamento di forze immane (compreso un set da camera che segue i cinque teutonici in pressoché tutti le tappe di questo viaggio), fatto sta che l'equilibrio formale raggiunto in questa circostanza è veramente notevole, straordinario se si pensa alla complessità del concept. Il modo in cui si struttura e sviluppa il discorso, la pienezza e la ricercatezza dei suoni e degli arrangiamenti, la ricchezza dei contenuti e il tema alto fanno di “Lament” inevitabilmente un capolavoro. O almeno la zampata vincente di un vecchio leone che dopo anni di lavori non pienamente convincenti torna a ruggire e dispensare maestria. Chi altro, del resto, poteva arrivare dove oggi volano i Neubauten?
Musicalmente “Lament” si può descrivere come una gamma di momenti percussivi. Se in verità tutto il percorso artistico degli Einsturnzende è spiegabile come una diversa intensità del tema percussivo, in un lavoro come “Lament” il battito e le pulsazioni (che si tratti dei soliti tubi sbattuti con veemenza, o di raffinati pattern elettronici) vengono ad acquisire un ruolo di prim'ordine: sono le percussioni che evocano continuamente il tema della guerra attraverso la marzialità di un sound che si fa aspro o introspettivo a seconda del momento (se non venissero in mente act quali Der Blutharsch, Les Joiaux de la Princesse o Dernière Volonté sarebbe lecito parlare di martial industrial). E sono le percussioni la sostanza del sound di “Lament”, che ospita comunque tutto quello che ci si può aspettare da signori incappottati ed incravattati che poco più di trent’anni fa sconquassavano il mondo della musica con i martelli pneumatici, e che oggi si approcciano alla materia musicale con il piglio posato di colti intellettuali.
Un industrial da salotto, potremmo dire, che, pur non rinnegando il caos primigenio degli albori (vedi la caustica opener “Kriegsmaschinerie”) preferisce indugiare su atmosfere solenni e dal respiro ambientale (le tre sezioni della sensazionale titletrack, un capolavoro nel capolavoro), passando dai toni crepuscolari di catastrofiche ballate (il drammatico crescendo di “How Did I Die?”) e dai monologhi squisitamente dadaisti (“Der Beginn Des Weltkriegs 1914”, uno “scherzetto” per sola voce) che contraddistinguono l'estro inconfondibile di Blixa Bargeld, non solo leader carismatico della band, ma anche portatore delle sue esperienze come ex membro dei Bad Seeds e fantasista extraordinaire nelle sue recenti prove soliste, musicali e non. Un recitato grottesco, il suo, che salta continuamente da un inglese autorevole all’enfasi del suo peculiare tedesco sputacchiato, e che si addentra visionario nelle fitte nebbie della storia, fra l’accavallarsi di voci e testimonianze, fra gli scricchiolii, nel silenzio, all’ombra di un sound monumentale, lungo la scacchiera contorta di un’opera poliglotta (i tredici minuti di “Der 1. Weltkrieg” ne sono l’apotosi), che diviene universale come la tragedia che racconta.
Certo, il rigore del concept richiede un grande sforzo all’ascoltatore, che fra le altre cose dovrà sorbirsi inni nazionali stravolti (“Hymnen”) e baldanzosi cori di bande marcianti (“On Patrol in No Man’s Land”). Ma fra improvvisi, tremendi sconquassi sonici e la mediazione di passaggi maggiormente riflessivi, attraverso momenti di grande pathos e tensione, senza mai scadere nel patetico o nel facilmente lacrimevole o peggio ancora nel serioso, scivolando piuttosto verso i lidi dell'ironia e dello sberleffo, con intelligenza, sensibilità, maturità, con piena consapevolezza e assoluta padronanza degli strumenti espressivi a disposizione, gli Einsturzende di “Lament” riportano in maniera credibile, sul palcoscenico e in casa nostra, i drammi del primo conflitto mondiale.
Se questo non è il disco dell’anno, non lo è solo perché oramai gli Einsturzende Neubauten giocano “fuori concorso”. E per “Lament”, che piaccia o meno, lo status di capolavoro diventa un atto dovuto.
La formazione tedesca è stata indubbiamente portatrice di un'esperienza fondamentale per la storia della musica tutta; un'esperienza che però, a voler essere stronzi, avrebbe potuto concludersi anche alla fine della decade ottantiana. Io, che stronzo non sono, ho apprezzato anche i lavori successivi, progetti collaterali compresi, ma sempre con il naso arricciato, la fronte aggrottata ed una punta di insoddisfazione sulla lingua: eterno rispetto per un ensemble storico come gli Einsturzende Neubauten, che mai ci ha “tradito” con lavori scadenti; il fatto è che, come capita praticamente a tutti, prima o poi s’invecchia, l'ispirazione si spegne, il mestiere prende il sopravvento. E noialtri finiamo per accontentarci di album di classe e ben confezionati, ma non più animati dalla originaria fiamma dell’ispirazione.
Per “Lament”, progetto iper-ambizioso concepito per essere rappresentato dal vivo (dimensione in cui l’opera troverà compimento definitivo), mi sento di fare un ragionamento diverso: un colosso di oltre settanta minuti che ha per tema la Prima Guerra Mondiale (ricordiamo che nel 2014 cade il centenario dello scoppio della Grande Guerra) o è un mattone inascoltabile o è un capolavoro.
Personalmente mi sento di propendere per la seconda riva, e questo per almeno un paio di motivi. Da un lato l'enorme sforzo di ricerca che vi sta dietro: “Lament” è anzitutto un'opera concettuale, dove i rimandi storiografici si sprecano (basti leggere, nel booklet interno, le note che accompagnano ciascun brano). Dall’altro l'eccellente realizzazione: vuoi il mestiere, vuoi l'esperienza, vuoi un dispiegamento di forze immane (compreso un set da camera che segue i cinque teutonici in pressoché tutti le tappe di questo viaggio), fatto sta che l'equilibrio formale raggiunto in questa circostanza è veramente notevole, straordinario se si pensa alla complessità del concept. Il modo in cui si struttura e sviluppa il discorso, la pienezza e la ricercatezza dei suoni e degli arrangiamenti, la ricchezza dei contenuti e il tema alto fanno di “Lament” inevitabilmente un capolavoro. O almeno la zampata vincente di un vecchio leone che dopo anni di lavori non pienamente convincenti torna a ruggire e dispensare maestria. Chi altro, del resto, poteva arrivare dove oggi volano i Neubauten?
Musicalmente “Lament” si può descrivere come una gamma di momenti percussivi. Se in verità tutto il percorso artistico degli Einsturnzende è spiegabile come una diversa intensità del tema percussivo, in un lavoro come “Lament” il battito e le pulsazioni (che si tratti dei soliti tubi sbattuti con veemenza, o di raffinati pattern elettronici) vengono ad acquisire un ruolo di prim'ordine: sono le percussioni che evocano continuamente il tema della guerra attraverso la marzialità di un sound che si fa aspro o introspettivo a seconda del momento (se non venissero in mente act quali Der Blutharsch, Les Joiaux de la Princesse o Dernière Volonté sarebbe lecito parlare di martial industrial). E sono le percussioni la sostanza del sound di “Lament”, che ospita comunque tutto quello che ci si può aspettare da signori incappottati ed incravattati che poco più di trent’anni fa sconquassavano il mondo della musica con i martelli pneumatici, e che oggi si approcciano alla materia musicale con il piglio posato di colti intellettuali.
Un industrial da salotto, potremmo dire, che, pur non rinnegando il caos primigenio degli albori (vedi la caustica opener “Kriegsmaschinerie”) preferisce indugiare su atmosfere solenni e dal respiro ambientale (le tre sezioni della sensazionale titletrack, un capolavoro nel capolavoro), passando dai toni crepuscolari di catastrofiche ballate (il drammatico crescendo di “How Did I Die?”) e dai monologhi squisitamente dadaisti (“Der Beginn Des Weltkriegs 1914”, uno “scherzetto” per sola voce) che contraddistinguono l'estro inconfondibile di Blixa Bargeld, non solo leader carismatico della band, ma anche portatore delle sue esperienze come ex membro dei Bad Seeds e fantasista extraordinaire nelle sue recenti prove soliste, musicali e non. Un recitato grottesco, il suo, che salta continuamente da un inglese autorevole all’enfasi del suo peculiare tedesco sputacchiato, e che si addentra visionario nelle fitte nebbie della storia, fra l’accavallarsi di voci e testimonianze, fra gli scricchiolii, nel silenzio, all’ombra di un sound monumentale, lungo la scacchiera contorta di un’opera poliglotta (i tredici minuti di “Der 1. Weltkrieg” ne sono l’apotosi), che diviene universale come la tragedia che racconta.
Certo, il rigore del concept richiede un grande sforzo all’ascoltatore, che fra le altre cose dovrà sorbirsi inni nazionali stravolti (“Hymnen”) e baldanzosi cori di bande marcianti (“On Patrol in No Man’s Land”). Ma fra improvvisi, tremendi sconquassi sonici e la mediazione di passaggi maggiormente riflessivi, attraverso momenti di grande pathos e tensione, senza mai scadere nel patetico o nel facilmente lacrimevole o peggio ancora nel serioso, scivolando piuttosto verso i lidi dell'ironia e dello sberleffo, con intelligenza, sensibilità, maturità, con piena consapevolezza e assoluta padronanza degli strumenti espressivi a disposizione, gli Einsturzende di “Lament” riportano in maniera credibile, sul palcoscenico e in casa nostra, i drammi del primo conflitto mondiale.
Se questo non è il disco dell’anno, non lo è solo perché oramai gli Einsturzende Neubauten giocano “fuori concorso”. E per “Lament”, che piaccia o meno, lo status di capolavoro diventa un atto dovuto.
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