"Tabula rasa". Ovvero il punto di non ritorno nella musica degli Einstürzende Neubauten. I terroristi sonori berlinesi cambiano completamente il loro approccio alla musica, o meglio la prospettiva di osservazione, passando dalla totale follia dei primi lavori (in grado di fare impazzire voi e i vostri vicini di casa) a una forma più ragionata, meno teatrale ed espressionista e più "musicale". Semplicemente parlando, dopo aver destrutturato la musica tutta, provano ora a rimettere insieme i brandelli distrutti e stuprati di ciò che ne rimane, facendo quella che viene comunemente definita "musica" senza abbandonare i suoni peculiarissimi di una strumentazione "casereccia". (quale altro gruppo suona con barili, carrelli della spesa, tubi di ferro, blocchi di cemento, seghe, martelli canonici e pneumatici?)
Oltre ai sopracitati "strumenti" è qui in primissimo piano il basso di Hacke, e Blixa Bargeld si dedica a un cantato che è la naturale continuazione di quanto sperimentato su "Hamletmaschine", album che timidamente aveva proposto un poco convinto cambiamento.
Ma l'identita del gruppo pare più che mai integra, lo mette in chiaro il sordo rintocco dell'incipit di "die interimsliebenden" marcia sulfurea che anticipa tribalismi e sonorità cari a Trent Reznor, che si concede persino una certa ballabilità.
Un giro di armonici apre la cantautoriale "Zebulon" brano insolito per l'ensembre berlinese, con tanto di back vocals e melodia saltellante; questo finchè non raggiunge i tre minuti, ove si trasfomerà in un punk rock compulsivo con percussioni metalliche (o meglio dire metallurgiche).
Il discorso prosegue con la raffinatissima "Blume", un crisantemo per la precisione; cantata dalla gelida voce di Anita Lane, apertura alla prima suite industriale del disco, ma anche episodio estrapolabile dal contesto, un ipotetico singolo.
Si presenta cupa pesante e melmosa "12305 (die nacht)", che rimanda alle follie dei primi lavori, senza però essere tanto incisiva o drammatica. E' la presenza di melodia e il cantato sommesso di Bargeld a impedire il disorientamento totale dell'ascoltatore, che riesce a non farsi risucchiare nel vortice e tutto sommato guardare i soliti Neubauten da una prospettiva esterna.
Perchè se nei dischi precedenti si veniva risucchiati e si pativa fisicamente l'ascolto, qui pare di essere spettatori di un avvenimento terribile, ma da dietro a un vetro a specchio, posizione da cui non si perde mai la sicurezza.
Due episodi transitori ("Sie" e la dark ambient di "Wuste") si arriva dove non si vorrebbe arrivare. La suite "Headcleaner" è esattamente come da significato, un trapano insistente e numorosissimo che ti si insinua nella corteccia cerebrale. E' dolore, è angoscia, è malessere e soprattutto disagio metropolitano, mai sopito ma completamente e ordinatamente metabilizzato. Lo dimostra il raglio soffocato (e soffocante) di Blixa Bargeld su una placida ma lisegica base di chitarra scordata che suona armonici. Gli edifici sono finalmente e nuovamente crollati e il vetro che ci proteggeva prima pare ora molto più sottile.
In definitiva un'opera che può sapere di compromesso, ma che è con molta probabilità indice di maturazione artistica: i dinamitardi di un tempo sono ora atterrati su canzoni più raffinate, la città prima vista come oppressione per l'uomo-animale è ora scenario e nuovo punto di partenza per un'arte ferita, ma terribilmente elegante.
Gli Einstürzende Neubauten dimostrano di possedere classe cristallina e un impareggiabile carisma, e fissano i paletti per un percorso che prosegue fino al bellissimo "Alles Wieder Offen", il cui percorrimento riserverà con buona probabilità delle belle sorprese.
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