Quando tra sfregolii e indolenze di chitarra entra quel fantasma narcotizzato di una voce, ci sono già tutti gli elementi, anche se ancora non lo sai.
Mentre i singulti di lembi di suoni spingono verso l’uscita la prima traccia, “Ain’t No Grave”, cover di un brano tradizionale, tu invece sei ormai dentro la dimora allestita da Mr. Ehlers. Senti anche il cigolio delle porte. E l’eco di qualcos’altro, forse fondi di vecchi barili raschiati. Se il barile è il blues, in un “Second Fire”
“Strange Things” are happenin', ripete Charles Haffer Jr, o il ruvido sembiante che è stato inviato dal passato a ricordarci qualcosa che tendiamo a dimenticare.
Affondato in una nebbia di suono sfibrato, incerto e brumoso, il suo monito è attualissimo. E irrimediabilmente lontano.
Il distillato dello spazio vuoto tra le note di un torpido, riarso blues.
A me viene in mente l’atmosfera che trovavi in “Deceit” dei This Heat. A causa, probabilmente, della sensazione di calura e ottundimento, di sospensione, che li accomuna per certi versi.
Ma qui, in questa dimora impossibile, che si chiude come un guscio o si dilata come respirando, ad esempio sulla scarnissima reiterazione dell’armonica (ma è un armonica o il ricordo di uno spettrale convoglio ferroviario che continua ad scorrere, lentissimo, in un sogno sudato?) di “Die Wieder Schnell Sagen”, nessun indizio o tentazione di una canzone.
Poi ti ritrovi improvvisamente, in “Misorodzi”, fuori dalla dimora, nel cuore dell’Africa. Tra i suoni ora anche il balafon, mi pare. E il Delta potrebbe essere, forse, quello del Nilo. Nessuno spaesamente, però. Perché sei esattamente nel centro del vuoto, in un luogo o nell’altro.
E in questo vuoto fluttua qualcosa che resterà sospeso nell’aria anche dopo che le trombe avranno cessato di soffiare il loro vento polveroso sopra le note centellinate dalle chitarre in “Maria & Martha”. O che quella voce, altro fantasma immerso nel liquido di un suono torbido e fumoso, avrà cessato di narrare la sua storia, in “O Death”.
Quel che resta sospeso è un brandello dell’anima del blues. O quel che le è rimasto impigliato, mentre attraversava il tempo arrivando sino ai nostri giorni.
Ekkehard Ehlers ha pubblicato recentemente questo disco per la Staubgold, dopo aver messo mano, tra l’altro, al repertorio di Arnold Schönberg, Cornelius Cardew, Albert Ayler. Non ho idea (ma intendo indagare) di cosa sia accaduto alle musiche di lor signori, dopo le sue manipolazioni.
Ho idea, invece, di quel che ha fatto con la sua personale idea di blues, con i frammenti raccolti e organizzati nei 45’5’’ di “A Life Without Fear”.
Potrebbe essere il disco per l’estate.
Un estate di aria immobile, di minuscoli abissi aperti nel calore ronzante, di sonnambulismo ad occhi aperti.
Un’estate di fantasmi che si affacciano e scompaiono, lasciando una traccia indelebile quanto impalpabile.
Ma naturalmente è un’altra estate quella che ti auguro.
Forse sarà bene, quindi,attendere l’autunno per incontrare l’ultima creatura di Mr. Ekkehard Ehlers.
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