Cosa manca agli Elbow per diventare grandi?

Un mistero senza risposta da oramai un lustro abbondante, e cioè da quando vide la luce "Asleep in the Back", disco dell'anno per il sottoscritto e buon esempio di quel (pop)rock che pare praticamente averci abbandonato alle mercé di questo esercito di next big shit.

"Leaders Of The Free World" è il terzo capitolo di una saga intervallata dal buon "Cast Of Thousands", che per inciso conteneva una perla di rara bellezza dalle mie parti, "Fugitive Motel" (per chi volesse approfondire consiglio l'edizione speciale con allegato dvd: il video ne è persino superiore in meraviglia).
Un disco ogni due anni per gli Elbow e diciamoci la verità: un po' si assomigliano tutti. Arrangiamenti complessi, voce eterea, intrecci chitarra-basso delicati e sontuosi, cantato sofferto. Dei Radiohead a cui, appunto, è sempre mancato qualcosa per diventare Radiohead.

Ma cosa?

Ho avuto modo di assistere ad un concerto tre volte; al termine di una di queste ho avuto la fortuna di incontrare Guy Garvey, ma quando glielo chiesi non rispose, così da allora mi affaccio sui fiumi alla ricerca di qualcos'altro di struggente che potrebbe interessarmi.

Mi piace immaginare che "Leaders Of The Free World" sia il loro disco più rock (se si esclude l'attacco in litania di "Station Approach": ma iniziano tutti in litania i dischi Elbow): si noti l'incalzante basso della title-track, cavalcata di 6 minuti e rotti ai confini Robert Smith-Depeche Mode, o quella "Mexican Standoff" che - seppure incastonata tra due leggerezze incantevoli e soffuse - suona come dei Tinderstick infuriati e sotto acido.

Un disco incantevole.

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