Ed anche gli Eldritch portano a compimento il loro personale settimo sigillo, raggiungendo un traguardo ragguardevole che per la band toscana, sicuramente fra le più rappresentative e quotate del panorama heavy metal tricolore, rappresenta senz'altro più di una definitiva consacrazione a livello puramente internazionale.

Già, per una formazione che ha alle spalle piccoli capolavori d'arte comunicativa della portata di "El Nino" o del fondamentale "Headquake", le aspettative sono sempre state enormi e, se si eccettua il mezzo passo falso rappresentato dal tendenzioso "Reverse", la risposta dei nostri è sempre stata alquanto perentorea, dimostrando più con i fatti che con le parole, d'aver conquistato, meritatamente, quello status di grandeur che da anni sembra scandire, in maniera oserei dire inequivocabile, ogni singola mossa discografica del combo toscano in questione.

Un album questo "Blackenday", che giunge ad un solo anno di distanza dal precedente "Neighbourhell", come a voler ribadire in qualche modo una prolificità, nonchè una certa creatività ritrovata, che non accenna nenache minimamente a diminuire, e che ha spinto ancora una volta la band a tracciare un percorso artistico che, se da una parte si riallaccia in maniera perentoria al discorso fin qui portato avanti con le precedenti release, dall'altra spinge i nostri verso lidi ed ambientazioni musicali pregni di melodie pur sempre ammantate da una certa patina di  drammaticità emotiva, ben evidenziata da un lavoro d'artwork che, naturalmente, risulta quantomai vicina a quella di "Paralles" del capolavoro dei maestri americani Fates Warning. Similitudini con la band americana che, non si fermano certo al solo artwork, ma che, come vedremo, si suggeguono anche all'interno dei brani qui presenti, anche se, è bene ribadirlo sin dalle prime battute, il techno thrash metal che sin dagli esordi ha contraddistinto il songwriting della band nostrana, continua a fare capolino all'interno di queste dodici allenttanti tracce, infarcito da contaminazioni ora più melodiche e vellutate, altre più dannatamente metal oriented, fino a toccare in alcuni frangenti, lidi quasi post hardcore.

Si, con questo nuovo lavoro gli Eldritch hanno ampiamente dimostrato ancora una volta d'aver saputo trasportare il loro particolare suono progressivo nel nuovo millennio che avanza, senza aver avuto la benchè minima tentazione di gurdarsi alle spalle, rendendo la propria proposta artistica naturalmente più moderna ed al passo con i tempi, grazie ad arrangiamenti sempre più curati e ad una propensione metallica sempre più preponderante che, unita all'istrionismo vocale del buon Terence Holler, ancora una volta indiscusso mattatore dell'intero lavoro, ha portato la band ad elevarsi nuovamente dalla media degli acts nostrani.
Ed è proprio in questa maniera che nascono brani della levatura della ruvida "Why", song dalle dissonanze tipicamente thrash metal di scuola bay area divisa fra richiami non tanto palesati agli Annihilator degli esordi, da sempre più di una semplice musa ispiratrice per la band nostrana, l'istintiva razionalità di "The fire", pervasa da frangenti quasi thrash/core in pieno stile Biohazard meets Suicidial Tendencies, la crepuscolarità criptica di "Broken Road" splenida song atmosferica che vede la parteciapzione in veste di guest di Ray Alder e Nicholas Van Dyk entrambi membri degli americani Redemption, o l'heavy power tout court di "Deep Sleep" brano contornato da un muro di chitarre davvero disarmante nonchè da un ottimo refrain.

Un ottimo disco in ogni senso dunque, confezione, songwriting ma anche per quel che concerne la produzione speculare curata dallo stesso chitarrista Eugene Simone, per una band che, almeno per quanto ci riguarda, rappresenta più d'un sinonimo di garanzia. Consigliato.

Carico i commenti...  con calma