Anno di grazia 1974, ci troviamo in un periodo di grande fioritura per quanto concerne la musica Rock, e soprattutto, per quanto riguarda i concept album: Peter Gabriel era riuscito a creare praticamente da solo un album storico, coadiuvato dagli altri Genesis, che risponde al nome di The Lamb Lies Down On Broadway, mentre David Bowie ci deliziava con la “sua” riedizione di 1984, rilevata in Diamond Dogs; se consideriamo che intorno a questo periodo, inoltre, nascevano capolavori concept come Thick as a Brick, The Snow Goose e la visionaria trilogia di Radio Gnome dei Gong, possiamo senza dubbio dire che era un periodo d'oro per quanto riguardasse i concept albums.

Tra tutti questi affreschi omogenei ed affascinanti, un gruppo ha cercato di coniare il proprio significato di Rock tramite melodie semplici, ma accompagnate da strumenti classici quali violini, viole ed archi. Stiamo parlando della Electric Light Orchestra, capitanata da Jeff Lynne, denominato dai più come assoluto genio del Pop, ma che ha cercato, nei primi anni di gestazione della band, di produrre un sound notevolmente più avanguardistico di quello che poi ci ha propinato negli anni d’oro della band. Dopo l'album d'esordio con il fuggitivo e carismatico Roy Wood, l'esperimento progressive con ELO II, e il primo tentativo di concept album con il transitorio On A Third Day, Lynne decide di dare la svolta: anche la ELO si produce nell'affascinante, quanto pericoloso ed arduo, tentativo di produrre un concept album, ed è da qui che nasce Eldorado.

Per quanto riguarda la preparazione ritmica e tecnica di quest'album, la ELO decide di migliorare concretamente la qualità degli arrangiamenti, ingaggiando il conduttore d'orchestra ed arrangiatore Louis Clark, e i risultati non tardano a farsi ascoltare: Eldorado è un album dal sound magniloquente e pulito, ben lontano dagli scarni arrangiamenti dei tre album precedenti, e il nostro Jeff plasma la sua opera su questa vera e propria impeccabilità tecnica, presentandoci il suo diretto alter-ego (di cui non sapremo il nome) in viaggio verso le colline di Eldorado, meta immaginaria in cui il protagonista s’immerge al fine di sfuggire dalla realtà di tutti i giorni.

L’intro è inizializzata da una voce narrante, che c’introduce nei sogni del protagonista, per poi partire con una massiccia dose di archi e violini, il tutto in pompa magna, con il theme principale dell’album, che ci farà compagnia nei momenti più concitati. Prima di conoscere realmente cosa sia Eldorado, Lynne ci propone il solito singolo scala classifiche, che però ben s’intona con le tematiche del disco: Can’t Get It Out From My Head è la porta principale verso questo mondo, e l’inno all’impossibilità di uscire da esso, senza però pentirsene; è un singolo dalle ritmiche cullanti, come guardare un panorama in riva al mare, e potrebbe essere la canzone che, davvero, “non riuscirete a scacciare dalla vostra mente”. Da qui in poi, ci troveremo di fronte alla visione di diversi personaggi, di cui storia e personalità si abbinano all’atmosfera ritmica: Boy Blue intona le gesta di un grande condottiero, introdotto alla folla festante da trombe trionfanti, Laredo Tornado cambia completamente registro portandoci alla distruzione e al pessimismo, accompagnato da violini cupi e rockeggianti.

In Poor Boy (The Greenwood) viene ripreso il tema di Boy Blue, con sonorità decisamente più veloci, che ci accompagnano, quasi a cavallo, verso brevi affreschi di vita di Greenwood, mentre nella successiva Mr. Kingdom si ritorna a sonorità lente, più malinconiche delle canzoni precedenti, che ci fanno da guida verso la solitudine di una città distrutta dalla guerra. Dalle terre medievali si passa rapidamente alle tentazioni più comuni, rappresentate dalla “donna dipinta” di Nobody’s Child, simbolo della tentazione lussuriosa, ed anche in questo caso il cadenzato ritmo musicale si sposa alla perfezione con i temi del brano, dove la sensualità s’identifica in un ritmo che avanza a passo di donna con accompagnamenti sassofonistici in pieno stile anni 30. Poi arriva il tributo al rockabilly, tanto caro al nostro Lynne, con Illusions in G Major, dove troviamo numerose associazioni alle illusioni di Eldorado con personaggi realmente esistiti come Leonard Cohen o i Rolling Stones. L’apologia del delirio.

Siamo arrivati all’epilogo, uno dei punti massimi dell’intera discografia della ELO, cioè, alla traccia intitolata appunto Eldorado, dove Lynne dà il meglio di se come vocalist, accompagnandoci con un canto che spazia tra toni baritonali e sospiri sofferenti, verso la fine dell’album, l’arrivo verso la meta, l’addio alla realtà, o semplicemente l’arrivo al traguardo di un percorso di completamento, di un individuo che vive libero dal mondo.

“Then I will stay, I'll not be back, Eldorado”.

Il viaggio si chiude con la ripresa del tema principale, fino a portarci alla brusca chiusura che ci riporta alla frase iniziale dell’album:

“The dreamer, the unwoken fool, High on a hill in Eldorado”.

Riassumendo l’album in pillole, ci troviamo in realtà a un “finto” concept, dove l’unico nesso concettuale è individuabile nelle fantasie del protagonista, e nel distacco dalla realtà; le tracce, prese singolarmente, sono normali canzoni con durata media di quattro minuti, ognuno con un ritmo e un tema musicale completamente differente, affiancate, di tanto in tanto, da un paio di temi musicali che si ripetono, rendendo l’LP eterogeneo ma compatto allo stesso tempo. Dal punto di vista strettamente musicale, Eldorado non va considerato esclusivamente come un’opera Rock, giacché di vero Rock, ha ben poco da spartire: ci troviamo di fronte al puro sound della ELO, dove chitarra e batteria incontrano gli strumenti classici, e in quest’album il sound è decisamente più unico e inconfondibile che in altre loro opere, rendendo Eldorado un album indistinguibile nel firmamento della musica dell’epoca.

Nonostante non raggiunga l’immaginario di altri lavori visionari come Radio Gong e The Lamb Lies Down On Broadway, nonostante non ci sia un’accezione moralista come in Tommy dei The Who, Eldorado è sicuramente un album da scoprire e riscoprire, oltre a rappresentare il punto più alto mai raggiunto dalla ELO dal punto di vista strettamente compositivo; d’ora in poi, l’unica preoccupazione di Jeff e compagnia sarà esclusivamente quella di lanciare, con cadenza quasi annuale, album orecchiabili e senza grosse pretese.

Eldorado è tutta un’altra storia.

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