Il terzo lavoro della band degli ELO non è celebrato quanto i preclari "Eldorado", "Out Of Blue" o "Discovery" ed è forse difficile capire il perché.

Nel 1973, in pieno periodo progressive, la band pubblicò un disco che di innovativo aveva molto. Per cominciare la visione pop del prog, che in quel periodo aveva raggiunto le vette più elevate, ma spiccatamente più sognanti ed esoteriche, più confinate in nicchie di ascoltatori molto inclini a questo genere di ascolti. Nel senso di un pop-prog questo lavoro di Jeff Lynne e dei suoi ELO coglie nel segno. Un album che contiene un preludio ed un interludio (al termine della 4^ traccia, New World Rising), “Ocean Breakup”, che mima il movimento iniziale della 5^ di Beethoven e che in questo riesce ad avere presa e credibilità. Conosciamo la propensione di Lynne verso archi e orchestrazioni, motivo più di avversione che di attrazione verso la band. Tuttavia l'utilizzo di questi inserti (ormai costanti in questo lavoro) sono più sincere e si fondono alla perfezione con chitarre e tastiere nell'intelaiatura dei brani, mostrando piuttosto la voglia di Lynne di ricercare nuove soluzioni sonore e risultando funzionali alla narrazione dei brani. "Bluebird Is Dead" è un pezzo che ripercorre la profonda ammirazione (o vogliamo chiamarla ossessione) di Jeff Lynne per i Beatles, anche nelle partiture di batteria e riesce perfettamente ad immergersi nelle atmosfere di "Abbey Road". Con "Oh No Not Susan" e "New Wolrd Rising" che seguono forma una sorta di mini-suite in cui i brani sono piuttosto capitoli senza soluzione di continuità che, come già accennato confluiscono nell'interludio di Ocean Breakup. Chiude questa prima parte "Showdown", la prima hit di questo disco, isolata e complessivamente decontestualizzata, votata al suo ruolo di hit. "Daybreaker" apre il secondo lato. Si tratta del brano più roccocò del disco con un ossessionante riff di tastiera che somiglia a tratti ad una spinetta. Un brano che avrei visto meglio in un disco di Rondò Veneziano. Lasciato indietro questo scivolone si rientra nel disco con l'attacco di Marc Bolan in "Ma-Ma-Belle" e Jeff si fa subito perdonare (il pezzo non sfigurerebbe in un album degli Stones, a dire il vero). La seconda hit del disco svetta sul lato B del disco graffiante nel suo incedere rock, ma anche marcatamente dance per quell’epoca. "Dreaming Of 4000" propone dei cambi di sonorità decisamente geniali ed è il pezzo che preferisco nel disco, anticipa quanto avremmo sentito in seguito dagli Alan Parsons Project. Si chiude con "In The Hall Of The Mountain King" che riscrive due opere di Edvard Grieg (compositore norvegese di fine 800) "Morning Mood" e appunto "In The Hall Of The Mountain King", che già al secondo ascolto si integra bene nella struttura e nella sequenza dei brani del disco.

L'impressione che si ha al termine dell’ascolto è che “On The Third Day” è un disco importante! Sicuramente per il gruppo e per la sua identità è un disco fondamentale, caratterizzando quello che sarà tutto il loro futuro. Una conferma sta nei due successi contenuti in esso, segno di una direzione condivisa dal pubblico, almeno di quello americano. Infatti, piuttosto che in patria “On The Third Day” entrò nella Billboard 200 e vi rimase per circa 6 mesi, aprendo alla band la strada del mercato americano prima ancora che di quello inglese. Inoltre, il lavoro vide l’inizio della collaborazione con Mik Kaminski, violinista inglese che legherà il suo nome a quello del gruppo per ancora molti lavori.

Interessante e riuscita è anche la struttura del lato A del disco che rimanda molto al lato B di “Abbey Road” dei Beatles. Qualche tempo dopo George Harrison, diventato intanto grande amico di Jeff Lynne, ebbe a dire che se i Beatles avessero continuato a suonare lo avrebbero fatto come gli Electric Light Orchestra. Quella storia probabilmente è partita da questo disco. E vi sembra poco!?!?!

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