Un'accolita di camaleonti. Pochi gruppi al giorno d'oggi sono capaci di confrontarsi con così numerosi e diversi generi musicali, per assimilarli, fagocitarli, metabolizzarli e restituirceli completamente stravolti e nello stesso perfettamente riconoscibili.
John Zorn propone una ennesima rilettura dello sterminato canzoniere Masada, un ambizioso tentativo di far convivere free jazz e musica klezmer. Dopo il quartetto, il trio d'archi e il sestetto, ecco il gruppo elettrico, che reinterpreta i brani in chiave jazz-rock, con un occhio al funk ed uno all'heavy metal, senza mai dimenticare l'irriverente, ipercreativa sperimentazione che da sempre è marchio di fabbrica del sassofonista newyorchese. Questa formazione aveva già esordito in uno dei dischi della interminabile serie dedicata al cinquantesimo compleanno di Zorn, ma questi due CD, che fotografano due concerti dal vivo tenuti rispettivamente a Mosca e Ljubljana, sono quanto di meglio possa offrire la band.
Electric Masada alterna violentissime fasce soniche (che non sfigurerebbero di fronte al death metal più truce e selvaggio) con delicate trine di gusto mediorientale, figlie della tradizione ebraica della quale Zorn si fa orgoglioso portavoce. Il tutto condito con momenti di puro, furente, iconoclastico free jazz.
Il risultato è un calderone in perenne ribollimento, un inesauribile gioco di echi, rimandi, e citazioni incrociate (Hendrix e Mahavisnu Orchestra, King Crimson e Black Sabbath...) nel quale le parole "noia" e "calo di tensione" non sono contemplate. Merito in gran parte dei collaboratori di Zorn, il meglio che offre la piazza, l'intellighenzia del post-jazz newyorchese. L'affiatamento tra i musicisti è a livelli stellari e l'entusiasmo fuoriesce copiosamente dai solchi del CD, catturandoci e dandoci l'impressione di essere sul palco assieme a loro.
Il versatilissimo Marc Ribot estrae spesso e volentieri sonorità vintage dalla sua chitarra, e si permette anche di fare il verso ai guitar hero dell'heavy metal classico, nella peraltro furibonda "Idalah-Abal".
L'inesorabile macchina ritmica messa in piedi dal bassista Trevor Dunn, dai due batteristi Joey Baron e Kenny Wollesen, e dal percussionista Cyro Baptista travolge tutto ciò che incontra sul suo cammino. Il tastierista Jamie Saft è un maestro del Fender Rhodes, strumento che a quarant'anni di distanza dalla sua invenzione non smette di entusiasmare gli appassionati. Le sue interminabili ed incandescenti session al piano elettrico ("Tekufah"), ricche di raffinate divagazioni armoniche ma anche di un godibilissimo groove, rendono omaggio contemporaneamente a Corea e Zawinul, e puzzano di Davis settantiano lontano un miglio. Tutt'altro che trascurabile l'apporto della maga dell'elettronica Ikue Mori al laptop, una musicista al pari degli altri presenti, che costruisce paesaggi onirici e "tunnel dell'orrore" di suoni campionati, dove i solisti si muovono e sguazzano con estremo piacere.
I due concerti contemplano quasi la stessa tracklist, per cui i brani sono spesso riproposti due volte, ma non c'è davvero pericolo di annoiarsi. Gli Zorniani di lunga data riconosceranno molte delle composizioni presenti ("Metal Tov" viene addirittura dal repertorio dei Naked City), ed apprezzeranno i nuovi, complessi e fantasiosi arrangiamenti. L'eredità del free si percepisce distintamente in "Hath-Arob", uno "start and stop" alla Ornette Coleman, passato al tritacarne dagli allucinati suoni elettronici di Ikue Mori e scartavetrato dal micidiale sassofono contralto del leader. "Karaim" e "Abidan" sono le consuete perle di raffinartezza, che in mezzo a tanto furore dànno ristoro come oasi nel deserto, dove Zorn abdica al consueto ruolo di urlatore per concedersi dei morbidi assoli, che si appoggiano sulle sinuose melodie klezmer.
Concludendo, Zorn e soci riaffermano la veridicità di ciò che disse Jelly Roll Morton ai suoi bei tempi: "Il Jazz non è altro che una scusa per suonare ciò che si vuole". Mi sembra che questo doppio CD (edito nel 2005) ne sia la prova più evidente.
Una dedica e un particolare ringraziamento a muitosaudosismo, senza il quale questa recensione non avrebbe mai visto la luce.
Carico i commenti... con calma