Noi mediterranei abbiamo un debole per la tradizione legata alla contemporaneità. Un patrimonio sensoriale
le cui radici forti e profonde non termineranno mai di infonderci quel sentimento familiare -a volte inconsapevole- che fa parte
delle nostre cellule.
Una delle più grandi interpreti di queste sensazioni è Eleftheria Arvanitaki; potentissima cantantessa greca
che, prima facente parte della Opisthodromiki Kompania e poi da solista, pubblica l'album più importante della sua
carriera (il quarto se si escludono le collaborazioni) in quel di un fortunato 1991.
Nelle mie sere di solitudine canto canzoni armene,
vorrei tornare indietro ma il paradiso mi è stato chiuso
Μένω Εκτός (romanizzato in Meno Ektos) si apre con un meraviglioso canto di abbandono e inadeguatezza.
I testi vengono scritti dalla celebe autrice Lina Nikolakopoulou, mentre la stesura delle melodie viene affidata
a musicisti di rilievo tra i quali nomi spiccano Nikos Xydakis e Ara Dinkjian.
A quest'ultimo è attribuita la composizione di Dinata (singolo che avvia la consacrazione vera e propria di Eleftheria).
La prima versione è una strumentale pubblicata cinque anni prima dal gruppo Night Ark (del quale faceva appunto parte Dinkjian).
Le note introduttive suonate al Cümbüş dell'originale vengono sostituite da un coro imponente che lascia presto spazio al sollievo di
Possibile, possibile!
Ogni cosa impossibile diventa possibile
In questo disco si palesano diversi stati d'animo. Al precedente canto ottimista viene contrapposta una menzione alla morte nella
incalzante Prosopo Me Prosopo, che accenna di passioni pericolose.
Den Apanta accompagna terminando la sequenza di brani e lasciando l'amaro in bocca.
Tutto Meno Ektos è traducibile in un riuscito compromesso tra Saffo e un mondo nuovo al quale affacciarsi, memori che potremmo dover accettare la fine di qualcosa di importante, la vita o anche l'amore.
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