Quello che sto per recensire è un album talmente oscuro e folle che è ben difficile trovar parole per descriverlo. Forse farei meglio a non scrivere questa recensione, a lasciar che questo gioiello nero passi inosservato, dimenticato, proprio come quelle reliquie dannate nascoste dagli antichi saggi, reliquie che costudiscono energie potentissime e maligne e che, una volta scovate e aperte dagli incauti ricercatori, si rivelano nella loro straordinaria e demoniaca forza distruttiva.
Io questo vaso di Pandora però lo voglio aprire, ripeto, sicuramente questa recensione non renderà giustizia all'opera, ma sento il desiderio irrefrenabile di recensire almeno un album di questi straordinari artisti dimenticati.
Autori di questo lavoro sono gli Elend, un ensemble parigino che gira intorno alle figure dei compositori e multi-strumentisti Iskandar Hasnaoui (francese) e Renaud Tschirner (austriaco). Il gruppo iniziò la propria avventura nel lontano 1994 con il magnifico Leçons de Ténèbres, aprendo così il trittico di album che compongono l'Officium Tenebrarum.
Passando per il luciferino "Les Ténèbres du Dehors" del 1996, il gruppo francese arrivò a chiudere la propria trilogia nel 1998 con questo "The Umbersun", sicuramente il disco più oscuro dei tre, quello che testimonia la discesa dell'umanità nelle tenebre, un'umanità martoriata dalla furia divina a causa di quell'atto di ribellione consistente nella presa di consapevolezza attraverso l'assunzione del frutto della conoscenza. Il disco è la testimonianza di un'umanità costretta a lasciare il paradiso terrestre, a causa del suo desiderio di onnipotenza ma anche e soprattutto, a causa del desiderio di ottenere la conoscenza che il Divino gli voleva precludere. Una storia che, messa in questi termini, ricorda abbastanza da vicino quella dell'Angelo maledetto. Ed è proprio di Lucifero che gli Elend parlano nel loro trittico, tuttavia il gruppo si tiene fortunatamente lontano dalle solite pacchianerie proprie di una certa scena musicale, il duo austro-francese preferisce focalizzarsi sulla figura mitica dell'Angelo caduto.
"The Umbersun" è il primo disco della band ad abbandonare l'uso delle tastiere, sostituite con trenta cantanti della Joyful Company of Singers. Nella registrazione il coro è stato diviso in due parti: un "coro angelico", composto da soprani ed impegnato a cantare le parti in latino ed in ebraico, ed un "coro infernale", che interpreta le parti in inglese e che è formato dai bassi e dai contralti.
L'album è composto da nove tracce, nove composizioni dalla durata totale di sessantasei minuti. Sessantasei minuti di cupa oscurità, un viaggio nel dolore, nella miseria (elend vuol dire miseria in tedesco), nella celebrazione dell'oscurità, nell'odio, nella morte.
L'album è strutturato in tre momenti ben distinti, composti ognuno da una lettura, una risposta e un notturno. Le tre letture, sono contraddistinte da un coro "bizantino" (un continuo coro cantato dai bassi arricchito da estesi melismi interpretati dal soprano solista). Il secondo movimento è basato sulla Rivelazione di Giovanni ed è contraddistinto da un particolare coro dodecafonico. I notturni invece sono delle composizioni decisamente più lineari, privi di cori indiavolati o altisonanti, composizioni eteree impreziosite dai leggiadri vocalizzi femminili e da inserti di dolci violini e tastiere.
Detto ciò, è facile capire quanto sia difficile descrivere l'album sotto l'aspetto del sound. Sarebbe riduttivo etichettare "The Umbersu"n come un album di musica neoclassica orchestrale, qui c'è di più, e non mi riferisco solo ai synth del sintetizzatore che contribuiscono non poco a creare quell'atmosfera a tratti apocalittica e infernale e a tratti gelidamente mortuaria di questo disco. Mi riferisco a quell'atmosfera di disperante follia udibile appena premuto il tasto play, quando veniamo investiti da raggelanti cori femminili e da partiture di violini indiavolati, ai quali si aggiunge dopo pochi secondi la lancinante voce in scream del cantante. I synth inoltre creano un'atmosfera sulfurea e densa, carica di orrore. Nelle due tracce successive il sound si fa meno indiavolato ed infernale e riviene fuori l'anima più tranquilla della band: i violini tessono tele mortuarie, i synth si fanno spettrali ed eterei, le voci femminili cullano l'ascoltatore come delle alienanti sirene, il cantante abbandona lo screaming per "abbracciare" l'ascoltatore con un timbro più baritonale e recitativo. Ma l'orrore tornerà, si rifarà vivo nelle tracce seguenti, e sarà un altro incubo formato da cori infernali, grida disperate, violini assassini, synth cacofonici, angoscia e agonia; ma anche questo viaggio è destinato a finire, la turbolenta follia è destinata a terminare, l'album, nelle ultime tre tracce, si indirizzerà così verso un sound ancor più oscuro, triste, decadente e desolato.
Finisce così questo disturbante viaggio nelle oscure profondità infernali, il silenzio lambisce ogni singola parte del corpo dell'ascoltatore, il senso di tristezza e smarrimento si affievolisce lasciando spazio ad uno strano senso di pace e serenità poiché, anche questa volta, si è portato a termine un ascolto faticoso e difficilissimo.
In sintesi, un disco stupendo, carico di emozioni ma destinato a pochissime persone a causa del sound apocalittico, terribile e disturbato e, al contempo, triste, gelido, decadente e quasi catacombale.
Consiglio infine, di far propria tutta la discografia di questa straordinaria band che, con il passare degli anni, ha sfornato dischi sempre diversi e stupendi, mai banali e sempre ispirati da moltissimi generi musicali diversi (neoclassica, ambient, da camera, industrial...).
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