"And time is no longer an obstacle, but the means by which the possible is achieved" (Eliane Radigue)
"Transamorem-Transmortem" (1973, ma pubblicata solo nel 2011) è una composizione di 67 minuti basata su un drone minimale, un continuo flusso di inspiegabile ed enigmatica bellezza, dove le variazioni (sì, ci sono) avvengono in toni tanto catartici, lenti e meditativi da avvolgere l'ascoltatore senza permettergli di identificare con troppa convinzione ciò che sta subendo. Dietro a questo disco di crepuscolare eleganza si nasconde l'affascinante Eliane Radigue, madre del drone, diventata famosa (ma sempre in una nicchia) con la celebre "Trilogie De La Mort" e riscoperta solo di recente grazie ai soliti passaparola che arrivano a distanza di anni. Una splendida e diafana ragazza con "Il Libro Tibetano Dei Morti" sul comodino divenuta in grado di rivoluzionare la concezione del suono e di trovare una propria dimensione; una che, ancora all'età di ottant'anni è lì a maneggiare con synth e attrezzature tecnologiche, nella continua ricerca di una sonorità in grado di condensare, sull'esiguo spazio di un disco, meditazione, trascendenza e esperienze extra-corporali.
Dire effettivamente cosa si nasconda dietro a "Transamorem-Transmortem" è una sfida. Statico e fluido come un immobile corpo d'acqua, come una presenza fantasmatica di inquietante alterità, è un disco che ha il suono di uno svenimento, di un lento e inesauribile calvario che conduce ad una straniante ipnosi, a sensazioni che ci permettono di allontanarci da noi stessi e affrontare uno spazio ignoto (uno spazio ristretto, tuttavia, simile ad un lungo e buio corridoio senza fine) fuori dal tempo.
Di più non so che dirvi se non che questo è probabilmente IL capolavoro del genere (mai, e dico mai, un calo di noia) che mi sia mai passato tra le mani e che ascoltato al buio, con gli occhi chiusi, nella piena dimenticanza del proprio essere viventi, fa la sua figura. E può non farci dormire, attoniti, immersi in un Laggiù dove nulla o tutto è possibile.
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