Non farò una recensione per convincere qualcuno del valore di questa band e in particolare dei primi due dischi, non credo sia necessario. La scrivo per evidenziare alcuni aspetti, forse non immediatamente evidenti, che spingono questo disco verso l’alto, sempre più in alto tra le cose più grandi mai fatte nella musica italiana.

L’album del 1992, Italyan, Rum Casusu Çikti, è un classico che ho ascoltato infinite volte. Ma voglio soffermarmi sul disco precedente, il primo: un po’ più ostico, focalizzato su temi difficili e anche ributtanti, con meno brani progressivi e meno canzoni note al grande pubblico. Forse non arriva ai livelli del successivo, ma per certi versi è anche più coraggioso e radicale negli argomenti trattati. Diciamo che c’è stata una virata verso tematiche comunque interessanti, ma meno scottanti e scomode. Forse per questo Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu potrebbe essere considerato il più grande disco degli Elii.

Vorrei approfondire i testi di queste canzoni, e non solo nelle scelte tematiche, ma soprattutto nella loro bellezza stilistica, nelle loro strutture geniali, nell’uso calibratissimo delle parole. Questi sono esercizi di stile (nel senso positivo del termine) molto ambiziosi e anche difficili. C’è del genio autentico nelle parole.

Ogni brano ha una doppia faccia: gli argomenti scabrosi non sono mai in realtà le questioni fondamentali dei testi, ma solo degli spunti per esplorare la semantica delle parole e articolare strutture verbali bislacche.

Solo uno sprovveduto può pensare che John Holmes si limiti a celebrare un porno attore: è invece un gioco complesso, volutamente ridondante, di assonanze e consonanze. Si potrebbero individuare sequenze lessicali del tipo: pene (membro) – bene – pene (sofferenze) – pene (membro) – pone – pane. Capite bene che il gioco stilistico di costruire un testo sensato partendo da una sequenza di parole assonanti e omonime è ben più interessante e divertente della semplice storia di un pornodivo. Ma è proprio questo il problema di Elio: certe finezze sono troppo alte per essere capite e si recepiscono solo i macro-argomenti, privati delle raffinatezze che li elevano. Un altro filotto è: moto (mezzo) – moto (attività) – moto (mezzo) – mito – muto. O ancora: su di ciò – sudicio.

Il nucleo concettuale del disco è lessicale: le parole, l’uso che se ne fa, la retorica, i tabù, gli eufemismi, il linguaggio metaforico. O più semplici questioni onomatopeiche come quella del ritornello di Abitudinario. La strofa invece concorre a scardinare la barriera del buongusto imperante in Italia, per raccontare il vissuto quotidiano delle persone comuni. Scoregge in vasca e a letto, fichi del naso spalmati e così via. Ancor più radicale Silos, che al pari di Cassonetto differenziato, amplifica un tema scabroso proponendo soluzioni tragicomiche. Nel primo caso, tutte le sostanze che emette il nostro corpo, dopo essere state accuratamente elencate, vengono pensate come possibile soluzione alla fame nel mondo. Impreziosita da un altro gioco di falsa omonimia: «voglio un silos – sì lo voglio …» che enfatizza il ritmo del ritornello.

Carro costruisce una narrazione surreale basandosi su tante frasi fatte, ma sfrangiandole e mescolandole tra loro. Il risultato duplice è lo smascheramento della pochezza delle idee quotidiane e al contempo una storia bislacca anticipatrice delle successive. Il lavoro stilistico è notevolissimo: «Entra ora in scena una ditta il cui portavoce mi ricorda di dare, un colpo duro al cerchio e alla botte piena d'uva e la moglie ubriaca però tra il dire e il fare c'è di mezzo "e il" e una rondella non fa primavera …». Le parole vengono “suonate” come e anche meglio degli strumenti.

Cassonetto differenziato è un capolavoro gigantesco. Il punto di vista ironico e straniato su un tema così delicato permette di costruire una narrazione comica che tuttavia non smorza la critica corrosiva, anzi la amplifica. Parole che fluiscono magnificamente, come nel più allegro dei brani, ma lanciano staffilate: «I frutti veri e propri si trovan nel frutteto, i frutti di mare si trovano nel mare, i frutti del peccato si trovano nel mare, nel frutteto, dentro al fiume nel laghetto, nella siepe sotto casa, o più probabilmente in un sacchetto, nel cassonetto». La scansione dei concetti, i giochi lessicali, la comicità nera, il punto di vista straniato, su una base musicalmente brillante, ne fanno un pezzo clamoroso. Si ride anche sguaiatamente ma con un retrogusto sanguigno.

Non mi soffermo più di tanto sulla celeberrima Cara ti amo; rifletto piuttosto su Piattaforma. Come con John Holmes, sarebbe ingenuo fermarsi all’argomento macroscopico. Anche qui c’è un fine lavoro stilistico e lessicale. Non è solo una grande metafora di un rapporto sessuale con un minore: c’è un’esplorazione delle possibilità del linguaggio metaforico, che passa da immagini più scontate ad altre decisamente meno. «Senti come grida il peperone» è una bellissima sinestesia. Notevole anche «Fremo a immaginarti tra i cateti». Altre sono sparse qua e là, in alternanza a quelle più facili. Ma il finale serve da monito: la sorpresa nello scoprire che si tratta del figlio Enzo è un esempio illuminante: spesso dare per scontato una certa verità/sospetto non è saggio. L’attingere al vero non è così banale, soprattutto nella sfera privata degli altri.

Cateto segue il filone assai fertile delle narrazioni assurde, anche in questo caso con spunti stilistici notevoli. Il più bello è l’uso dell’appellativo «quella puttana» nel momento di massimo pathos, all’interno di un racconto che parla seriamente e con tono romantico di una vicenda completamente assurda. Uno stratagemma che verrà utilizzato molte altre volte. Il commento finale «E la morale di questa storia è che la merda non è così brutta come la si dipinge» rende più evidente lo sforzo di dare spazio e dignità a quella sfera semantica.

Belli alcuni brani parlati, ad esempio quelli in cui si discute del disco stesso, con gli amici che si prendono in giro a vicenda. Altri potevano essere evitati perché non così divertenti o comunque noiosetti. Musicalmente non saremo ancora ai livelli siderali di Essere donna oggi, Il vitello dai piedi di balsa o La vendetta del Fantasma Formaggino, ma quel margine viene più che compensato dagli argomenti maggiormente scomodi e respingenti, che vengono incredibilmente nobilitati.

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